Città del futuro: «contentini smart»

La digitalizzazione può ridurre drasticamente l’impronta ecologica delle città. Ma resta ancora molto da fare.

Testo: Christian Schmidt

Smart City - Wenn Computer den Verkehr regeln
Smart City - Quando i computer regolano il traffico
© BAFU

Alexandre Bosshard è un abile presentatore. Eccolo in una sala riunioni dell’amministrazione comunale di Pully (VD), mentre proietta sul muro una cartina geografica. Dapprima vediamo il pianeta immerso nella notte, e distinguiamo solo oceani e continenti. Poi, in Asia, appare un punto rosso, accompagnato dall’indicazione «Singapore». Bosshard lascia che l’immagine faccia il suo effetto, senza dire una parola. Si accende un secondo punto rosso, questa volta sulla penisola araba, che corrisponde a «Dubai». Bosshard resta zitto. Infine un terzo punto rosso. In Europa. In Svizzera. «Pully». Pully allo stesso livello di Dubai e Singapore? Ma Pully ha 18 000 abitanti, mentre le altre due città ne contano diversi milioni. Cosa hanno in comune con il sobborgo di Losanna? Alexandre Bosshard, diplomato in ingegneria rurale con una seconda formazione in psicologia, da sei anni coordinatore dei progetti di digitalizzazione della località vodese, barbetta, occhiali, ci dice: «siamo la terza città al mondo alla quale l’UIT ha attribuito il certificato di ‘Smart Sustainable City’». L’UIT è l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, un’agenzia specializzata dell’ONU. Quando Bosshard si è recato a Malaga nell’aprile 2018 per ricevere il certificato, lui, semplice impiegato comunale, si è trovato seduto allo stesso tavolo con ministri di Stato e altri dirigenti illustri.

Un approccio molto promettente

Pully, che si trova sulle rive del lago Lemano, in questo giorno di primavera non appare per nulla diversa da altre cittadine. Ragazzi che provano i loro skateboard in un parcheggio sotterraneo; una donna occupata con il suo cellulare; la potatura primaverile degli alberi nella rue de la Poste: dove sarebbe la «smart city»? Eppure, sembra che quanto stia prendendo piede a Pully sia, almeno teoricamente, una delle invenzioni più promettenti da quando Tim Berners-Lee ha offerto Internet al pianeta. L’approccio che si nasconde dietro l’etichetta «smart city», o «città intelligente», potrebbe riuscire a trasformare aree residenziali estremamente energivore in spazi di vita sostenibili e a misura d’uomo. Come spiega Bosshard, «l’UIT quantifica la digitalizzazione di una città ricorrendo a 87 indicatori e prestando un’attenzione particolare agli aspetti legati alla sostenibilità». Questi indicatori includono, ad esempio, la quota di energie rinnovabili nel consumo globale della città, i criteri di sostenibilità nella costruzione degli edifici pubblici, i chilometri di piste ciclabili e il numero di metri quadrati di spazio verde per abitante. Una cinquantina di Paesi in tutto il mondo ha iniziato a raccogliere i dati sugli indicatori di riferimento dell’UIT. E Pully si trova in primissima linea. In uno degli uffici adiacenti, Bosshard ci spiega perché. Ci mostra, su uno schermo, il suo progetto «smart city» più importante. Intitolato «Observatoire de la mobilité» e lanciato nel 2015 in collaborazione con Swisscom e il Politecnico federale di Losanna, è un programma informatico che aiuta ad analizzare i flussi di traffico sul territorio del Comune di Pully, seguendo le tracce che i telefoni cellulari lasciano sulle antenne. Questi dati consentono di capire da dove vengono le persone, come si muovono, quanto tempo rimangono e in che direzione ripartono. Le tracce sul monitor ricordano un po’ i movimenti dei velivoli su uno schermo radar. Per Bosshard, questo osservatorio è uno «strumento prezioso e intelligente» per comprendere la situazione attuale e, in tal modo, riuscire anche a plasmare il futuro. «Un tempo ricevevamo i risultati dei censimenti del traffico ogni cinque anni, adesso li riceviamo ogni ora.» Oggi si può verificare in qualsiasi momento dove e quando si formano gli ingorghi, se una nuova linea di autobus sta producendo gli effetti desiderati e se sulle strade circolano meno veicoli privati. E ora Bosshard sa anche che la maggior parte delle persone i cui dati sono captati dal sistema non restano a Pully, ma sono solo di passaggio. E qui, secondo lui, ci vuole un cambiamento: «diminuiremo la circolazione nel centro, che renderemo più accogliente per i pedoni», è ciò significa anche meno rumore e meno gas di scarico, ossia una migliore qualità di vita.

Qualche contentino invece di una visione globale

La trasformazione delle città in «smart city» è oramai una tendenza a cui tutti vogliono prendere parte, altrimenti detto: un ambito nel quale nessuno può permettersi di restare indietro. L’impegno delle autorità per garantire la sostenibilità e le relative promesse alla popolazione possono riuscire a far segnare punti nella competizione per attirare più abitanti – ossia contribuenti. Winterthur (ZH), ad esempio, controlla l’illuminazione delle piste ciclabili sul suo territorio in modo che si accenda solo quando necessario. L’anno prossimo la città di Zurigo lancerà un sistema di bus a chiamata per i passeggeri che non si spostano lungo le normali linee dei trasporti pubblici e fuori dagli orari di punta. Per evitare problemi di irraggiamento eccessivo durante l’introduzione della nuova rete 5G, San Gallo ricorre a un numero maggiore di antenne più piccole; inoltre, la città sta sperimentando sensori speciali per ridurre la circolazione a vuoto dei veicoli alla ricerca di un parcheggio. I sensori indicano dove si possono trovare posti liberi e lo comunicano a un’applicazione per smartphone. Il quartiere ginevrino di Carouge ha installato oltre 600 sensori lungo le sue strade per misurare l’impatto fonico e prendere contromisure. Wil (SG) ha aperto uno speciale negozio online dove la popolazione può acquistare, a buon prezzo, apparecchi energeticamente efficienti. Anche la Confederazione si impegna a favore della sostenibilità digitale: entro il 2027, contatori intelligenti per misurare il consumo di elettricità saranno obbligatori in ogni economia domestica, e permetteranno, ad esempio, di spegnere tutti i dispositivi mediante telefono cellulare in caso di assenza. Resta una domanda: in che misura questi sviluppi sono anche ecocompatibili? Matthias Finger, professore al Politecnico federale di Losanna e specializzato in infrastrutture, mette in guardia contro quella che considera una «cultura del contentino». Tutte queste idee sono lanciate da servizi amministrativi diversi, «per lo più senza coordinamento tra loro», e in seguito vengono messe avanti per annunciare che l’intera città è diventata un modello di «smart city». In fin dei conti, tutte queste operazioni non si rivelano molto più che una campagna pubblicitaria, non orchestrata dalle amministrazioni pubbliche, bensì dai commercianti di software e hardware. Inoltre, non vi sarebbero ancora le norme sulla base delle quali definire «un approccio generalmente applicabile e vincolante per decidere se una città possa considerarsi una vera e propria ”smart city”». È vero che non tutti i progetti che si definiscono sostenibili sono anche convincenti. I sensori di parcheggio, ad esempio, possono effettivamente ridurre la circolazione di veicoli alla ricerca di un luogo di sosta ma, attirando l’attenzione sugli spazi liberi, richiamano anche più traffico verso il centro e quindi silurano soluzioni di gran lunga migliori quali l’impiego di trasporti pubblici o i parcheggi di interscambio (park and ride).

Smart city – inizialmente un’idea di marketing

Altre offerte entrano in conflitto con la protezione dei dati. A Wil, gli acquisti nel negozio online permettono all’amministrazione comunale di vedere chi è interessato o meno agli elettrodomestici che risparmiano energia. Lo stesso vale per i contatori intelligenti prescritti dalla Confederazione, che informeranno in tempo reale i fornitori di energia elettrica su chi consuma quanto, dove e come, attirando così l’attenzione – in senso positivo o negativo.

Bosshard è consapevole delle critiche, e le capisce anche: l’espressione «smart city» non è sorta in un contesto di tutela ambientale, bensì «quale idea di marketing, lanciata dalle grandi aziende nel settore delle tecnologie dell’informazione», di fronte alle quali si stanno in effetti aprendo gigantesche opportunità commerciali. La domanda è così forte che l’istituto statunitense di ricerche di mercato Persistence prevede un’enorme progressione in questo settore. Entro il 2026 il fatturato delle aziende attive su questo fronte dovrebbe raggiungere 3500 miliardi di franchi – una cifra che supera di circa 50 volte il budget annuale delle economie domestiche svizzere.

Tuttavia, Pully non intende partecipare a questa corsa all’Eldorado e prosegue piuttosto per la sua strada. La sua amministrazione utilizza programmi open source, che vengono sviluppati in modo mirato insieme ad altre città svizzere e a programmatori di diversi Paesi. Inoltre, dice Bosshard, Pully non è una di quelle città che, dopo aver adottato qualche idea sparsa, si autoproclamano immediatamente «smart city» – che, d’altronde, non è un titolo protetto. «Abbiamo un totale di 20 progetti in questo ambito che, oltre alla sostenibilità ecologica, mirano anche a quella economica e sociale». Tra questi, un sistema di informazione centralizzato per la popolazione, una piattaforma di comunicazione via Internet per gli over 65, un negozio online di prodotti locali e vari progetti per rendere più efficiente l’amministrazione comunale. Quanto all’«Observatoire de la mobilité», Bosshard non ritiene che vi siano problemi con la protezione dei dati: «sullo schermo appaiono solo statistiche basate su dati anonimi. Non possiamo frugare dentro i vari smartphone, né sappiamo chi li possiede».

Un modello in Corea del Sud

Nonostante restino alcuni punti interrogativi, l’idea di «smart city» è globalmente molto promettente. La città coreana di Songdo, che conta 100 000 abitanti, è un modello in tal senso. Sul suo territorio non circolano auto e ogni economia domestica è collegata a un impianto centrale di trattamento e di riciclaggio dei rifiuti. In tal modo, il consumo medio di energia pro capite è inferiore del 40 per cento rispetto ad altre città della Corea del Sud. Matthias Finger, professore al Politecnico federale di Losanna, riconosce il potenziale delle città intelligenti, che considera importante soprattutto in termini di efficienza e sostenibilità, ma lo relativizza: «molti dei miglioramenti possibili potranno essere realizzati solo se i dati saranno resi disponibili e scambiati e se saranno definiti e applicati standard comuni». Tutto ciò richiederà una regolamentazione molto densa e la necessaria volontà politica, in particolare per quanto riguarda la protezione e la sicurezza dei dati. Insomma, «resta ancora molta strada da fare.»

Smart con RUMBA

«l’ambiente» incontra Markus Wüest, capo della sezione Osservazione ambientale dell’UFAM e rappresentante dell’UFAM per l’ambito «smart cities» all’interno del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC).

Innovationen gezielt vorantreiben

Che cosa sta facendo la Confederazione sul fronte delle «città intelligenti»?

Markus Wüest: Nel gennaio 2019 il Consiglio federale ha approvato le «Linee guida per la trasformazione digitale nell’Amministrazione federale e per la creazione delle infrastrutture digitali» che serviranno da riferimento in questo ambito. Inoltre, il DATEC sta elaborando un piano di misure per sostenere le città, i Comuni e i Cantoni nello sviluppo di «città intelligenti», ma anche di «villaggi intelligenti» e di «regioni intelligenti».

All’interno dell’Amministrazione federale esistono già «settori intelligenti»?

Sì, l’Amministrazione federale ha sottoscritto l’iniziativa Work Smart, che promuove forme di lavoro flessibili e contribuisce così a ridurre il traffico e le emissioni di CO2. È inoltre in corso il progetto «Gestione delle risorse e management ambientale dell’Amministrazione federale» (RUMBA), il cui obiettivo principale è la riduzione progressiva dei carichi ambientali legati alla gestione e ai prodotti dell’Amministrazione federale civile. Esso mira anche a migliorare il coordinamento delle attività ambientali all’interno dell’Amministrazione federale. Infine, la Confederazione ha avviato il Programma nazionale di ricerca «Trasformazione digitale» (PNR 77).

Di che si tratta?

Questo programma mira innanzitutto ad approfondire le nostre conoscenze sulle opportunità e i rischi che la digitalizzazione comporta per la società e l’economia, concentrandosi su assi tematici quali l’educazione e l’apprendimento da un lato, o l’etica, l’affidabilità e la governanza dall’altro. Il programma durerà cinque anni.

Ma le «città intelligenti» sono una buona idea? I centri di ricerca elaborano una marea di dati e, in tal modo, generano già oggi il 2 per cento di tutte le emissioni di CO2 a livello mondiale. Si prevede che questa cifra triplicherà.

Sì, le «città intelligenti» sono una buona idea, a condizione di sfruttare bene il loro potenziale. Naturalmente, non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo di ridurre a zero le emissioni nette di CO2 a livello mondiale al più tardi entro il 2050, limitando così il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo promuovere l’innovazione in modo mirato e, quale società, stabilire le giuste condizioni quadro.

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Ultima modifica 04.09.2019

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