Definizione di rifiuti urbani

La nuova definizione è una conseguenza dell’attuazione della mozione Fluri (11.3137 «No alla completa liberalizzazione del mercato dei rifiuti industriali»), secondo cui sarebbe necessario sottoporre a liberalizzazione parziale lo smaltimento dei rifiuti urbani: i rifiuti comparabili a quelli delle economie domestiche provenienti da imprese con meno di 250 posti di lavoro a tempo pieno devono continuare a essere sottoposti al monopolio del settore pubblico nello smaltimento, mentre le imprese con 250 o più posti di lavoro a tempo pieno devono essere sottratte a tale monopolio a partire dal 1° gennaio 2019.

Dal 1° gennaio 2019 si applica la definizione di «rifiuti urbani» di cui all’arti­colo 3 lettera a OPSR, che comprende le seguenti tipologie: 

  • i rifiuti che provengono dalle economie domestiche;
  • i rifiuti che provengono da imprese con meno di 250 posti di lavoro a tempo pieno aventi una composizione analoga ai primi in termini di sostanze contenute e di proporzioni quantitative.
 

Poiché la mozione Fluri non ha preso in considerazione i rifiuti che provengono dalle amministrazioni pubbliche, l’OPSR non li tratta. Ciò significa che per i rifiuti che provengono dalle amministrazioni pubbliche della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni comparabili a quelli delle economie domestiche nulla cambia rispetto alla prassi precedente. Tali rifiuti continueranno a rientrare nel monopolio del settore pubblico, indipendentemente dal numero dei posti di lavoro a tempo pieno (cfr. Note esplicative sulle amministrazioni pubbliche).



1. Rifiuti urbani che provengono dalle economie domestiche

Tutti i rifiuti che provengono dalle economie domestiche sono rifiuti urbani. Nello specifico, a causa della loro composizione, occorre fare una distinzione tra:

  • rifiuti solidi urbani (inclusi i rifiuti ingombranti): rifiuti misti non riciclabili, destinati all'incenerimento;                     
  • rifiuti raccolti separatamente:
    rifiuti raccolti separatamente destinati al riciclaggio (ad es. vetro, carta, cartone, metalli, tessili, rifiuti vegetali, bottiglie in PET per bevande, apparecchi elettrici ed elettronici);

  • rifiuti speciali e altri rifiuti soggetti a controllo:
    rifiuti il cui smaltimento rispettoso dell'ambiente richiede, a causa della loro composizione o delle loro proprietà fisico-chimiche o biologiche, rispettivamente un insieme o un numero limitato di specifiche misure tecnico-organizzative, anche per quanto riguarda il traffico in Svizzera (pile o oli commestibili quali esempi di rifiuti speciali e legno usato quale esempio di altri rifiuti soggetti a controllo).

Infine, fanno parte dei rifiuti urbani anche i rifiuti non combustibili risultanti dalle economie domestiche, ad esempio le lastre da giardino, le tegole o i vasi da fiori. 

 

2. Rifiuti urbani che provengono dalle economie domestiche


I rifiuti che provengono dalle imprese devono essere considerati rifiuti urbani se l’impresa conta meno di 250 posti di lavoro a tempo pieno e se la loro com­posizione in termini di sostanze contenute e di proporzioni quantitative è ana­loga ai rifiuti che provengono dalle economie domestiche. Indipendentemente dalla loro composizione, i rifiuti delle imprese con 250 o più posti di lavoro a tempo pieno non sono dal punto di vista giuridico rifiuti urbani. Tutti i rifiuti prodotti in tali imprese devono essere considerati «altri rifiuti» o, secondo la designazione in uso nella prassi, rifiuti aziendali, dell’artigianato o dell’indu­stria, e devono essere smaltiti dal detentore (art. 31c cpv. 1 LPAmb). 

 
 
 

Note esplicative sui concetti di «impresa» e «posto di lavoro a tempo pieno» 

Per impresa si intende un’entità giuridica dotata di un proprio numero d’iden­tificazione d’impresa (IDI) oppure un gruppo di tali entità aventi un sistema di smaltimento dei rifiuti organizzato in comune (art. 3 lett. b OPSR).

Sono enti­tà giuridiche sia le persone giuridiche di diritto pubblico e privato che le per­sone fisiche. Il concetto di «impresa» secondo la legge federale sul numero d’identificazione delle imprese (LIDI) comprende sia le imprese in senso stret­to che le unità (ad es. associazioni o fondazioni), che per via della loro attività sono in contatto con l’amministrazione pubblica (ad es. iscrizione nel registro di commercio, rendiconto dell’IVA, compilazione di dichiarazioni doganali, domande di autorizzazione). Il concetto di impresa non si applica ai servizi dell’amministrazione pubblica della Confederazione, dei Cantoni e dei Comu­ni (cfr. Note esplicative sulle amministrazioni pubbliche).

Secondo la nuova definizione di rifiuti urbani, il numero dei posti di lavoro a tempo pieno di un’impresa è determinante per la distinzione tra rifiuti urba­ni e «altri rifiuti». Pertanto sono rifiuti urbani solo quelli prodotti nelle imprese con meno di 250 posti a tempo pieno, a condizione che la composizione in termini di sostanze contenute e di proporzioni quantitative sia analoga ai rifiuti che provengono dalle economie domestiche. Il fattore determinante è il numero totale di tutti i posti di lavoro a tempo pieno in un’impresa e non sola­mente il numero dei posti di lavoro a tempo pieno di una singola unità dell’im­presa (ad es. succursale, filiale o unità aziendale). Infatti, di norma, le unità commerciali non possiedono un proprio numero IDI visto che fanno parte di un’impresa, ovvero di un’unità giuridica di ordine superiore. È il caso ad esem­pio delle succursali o delle filiali di banche, assicurazioni, negozi al dettaglio o catene di ristorazione. Costituiscono un’eccezione le succursali iscritte nel registro di commercio alle quali viene assegnato un proprio numero IDI. Nella prassi vanno considerate però come facenti parti dell’impresa di ordine supe­riore.

Se più imprese formano un gruppo, per quanto concerne il numero dei posti di lavoro a tempo pieno, anche in questo caso si fa riferimento alla somma dei posti di lavoro a tempo pieno di tutte le imprese facenti parte del gruppo. Il concetto di gruppo va inteso nel senso di una concentrazione di più imprese in cui un’impresa controlla le altre imprese secondo l’articolo 963 capoverso 2 del diritto delle obbligazioni (CO; RS 220). Se per tutte le imprese di un gruppo con un totale di 250 o più posti di lavoro a tempo pieno è previsto un sistema di smaltimento dei rifiuti organizzato in comune a livello centrale del gruppo, i rifiuti prodotti dal gruppo non sono assimilati ai rifiuti urbani.

Nella prassi, tutti i posti di lavoro a tempo pieno e a tempo parziale devono essere convertiti in equivalenti a tempo pieno, e questa unità di misura deve essere utilizzata per la distinzione tra rifiuti urbani e «altri rifiuti». I Cantoni e i Comuni possono far capo al Registro federale delle imprese e degli stabili­menti, disponibile online, per ricavare dati sugli IDI e sugli equivalenti a tempo pieno. Se in base ai dati disponibili l’ente pubblico non dovesse essere in grado di decidere se esonerare un’impresa dal monopolio dello smaltimento, spetta all’impresa fornire alle autorità le informazioni necessarie all’esecu­zione ed eventualmente svolgere o accettare indagini (art. 46 cpv. 1 LPAmb). Spesso ai Comuni mancano le informazioni necessarie, soprattutto quelle sulla struttura dei gruppi e sulla presenza di un eventuale sistema di smalti­mento dei rifiuti organizzato in comune. 

Note esplicative sulle amministrazioni pubbliche

Non essendo imprese ai sensi dell’articolo 3 lettera a OPSR, per le ammini­strazioni pubbliche della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, la distin­zione tra rifiuti urbani e «altri rifiuti» dipende soltanto dalla composizione dei rifiuti. Pertanto, i rifiuti provenienti dalle amministrazioni pubbliche che in ter­mini di sostanze contenute e di proporzioni quantitative sono analoghi ai rifiu­ti che provengono dalle economie domestiche devono essere considerati rifiuti urbani, indipendentemente dal numero dei posti di lavoro a tempo pieno.

Un caso a parte è quello degli enti amministrativi decentrati, di seguito indi­cati come «aziende amministrative». Con questo termine si devono intendere in particolare gli enti autonomi di diritto pubblico (ad es. università, aziende di trasporti pubblici, ospedali e consorzi) o le cosiddette società anonime di diritto speciale della Confederazione (ad es. Posta e FFS) e dei Cantoni (ad es. le banche cantonali). Infatti, diversamente dall’amministrazione pubblica, in questi casi si tratta di aziende dotate di un proprio numero IDI, di un proprio patrimonio e di una propria personalit giuridica. Queste aziende amministra­tive hanno spesso una struttura analoga alle imprese e pertanto devono essere trattate anche come imprese ai sensi dell’articolo 3 lettera b OPSR. Di conseguenza soltanto i rifiuti che provengono dalle aziende amministrative con meno di 250 posti di lavoro a tempo pieno devono essere considerati rifiuti urbani, a condizione che la composizione in termini di sostanze conte­nute e di proporzioni quantitative sia analoga ai rifiuti che provengono dalle economie domestiche. 

 
 

Note esplicative sulla composizione dei rifiuti

Le imprese e le amministrazioni pubbliche producono o rifiuti risultanti dall’at­tività principale, ovvero i cosiddetti rifiuti legati al particolare tipo di attività dell’impresa, o quelli che non risultano dall’attività principale, ovvero i cosid­detti rifiuti non legati al particolare tipo di attività dell’impresa.

I rifiuti non legati al particolare tipo di attività dell’impresa sono di norma analoghi, in termini di sostanze contenute e di proporzioni quantitative, ai rifiuti che provengono dalle economie domestiche e pertanto devono essere classificati come rifiuti urbani, a condizione che l’impresa conti meno di 250 posti di lavoro a tempo pieno. Si tratta sostanzialmente di rifiuti risultanti dai consumi quotidiani degli impiegati, come i rifiuti cartacei (ad es. i giornali letti) di un istituto di bellezza o i rifiuti solidi urbani (ad es. il contenuto del cestino presente sul luogo di lavoro) di uno studio di ingegneria o di un’amministrazio­ne pubblica. Si può quindi legittimamente ritenere che una certa quantità di rifiuti urbani viene prodotta in tutte le imprese e le amministrazioni pubbliche.

Di norma i rifiuti legati al particolare tipo di attività dell’impresa (ad es. i rifiuti edili e i rifiuti di produzione) non sono analoghi ai rifiuti domestici in termini di sostanze contenute. Tali rifiuti non sono rifiuti urbani, bensì «altri rifiuti» e devono essere smaltiti dal detentore. Nella prassi, questi rifiuti sono cono­sciuti anche come rifiuti aziendali, dell’artigianato o dell’industria. Esempi in tal senso sono i frammenti di metallo provenienti dalle aziende di lavorazione dei metalli oppure gli scarti di legno delle falegnamerie.

In casi come quelli dei rifiuti vegetali risultanti nelle aziende ortofloricole, dei cartoni del commercio al dettaglio o dei residui cartacei di un’amministrazio­ne pubblica, i rifiuti legati al particolare tipo di attività dell’impresa possono contenere sostanze analoghe ai rifiuti domestici. Poiché tali rifiuti risultano dall’attività principale di un’impresa o di un’amministrazione pubblica, le pro­porzioni quantitative possono divergere da quelle dei rifiuti delle economie domestiche. Nella prassi, la valutazione delle proporzioni quantitative potreb­be risultare complessa per l’autorità competente e causare oneri eccessivi. Di conseguenza, si raccomanda di limitare l’obbligo della raccolta separata e del riciclaggio di queste frazioni di rifiuti soltanto alle imprese e alle ammini­strazioni pubbliche che producono quantità di rifiuti talmente considerevoli da sollecitare in modo particolare le capacità logistiche dell’ente pubblico (ad es. smaltimento di rifiuti che richiedono contenitori aggiuntivi, ritiri straordi­nari o veicoli speciali). Per quelle imprese e le amministrazioni pubbliche che finora hanno consegnato all’ente pubblico le modeste quantità di rifiuti ana­loghi che producono, per motivi di ordine ecologico (ad es. per evitare l’au­mento del traffico e delle emissioni per il maggior numero dei partner di trasporto) si raccomanda di continuare ad affidare lo smaltimento di tali rifiu­ti all’ente pubblico.

Se i rifiuti comparabili a quelli delle economie domestiche provenienti dall’in­dustria e dall’artigianato possono essere forniti separati per tipo (ad es. vetro, carta, cartone ecc.), l’ente pubblico può obbligare le imprese a smaltirli. Que­sto è quanto stabilisce la DTF Reinach (BL). D’altro canto, i detentori dei rifiuti possono anche faro valere il diritto di smaltire tali rifiuti separati per tipo sotto la propria responsabilità. Sebbene le basi giuridiche siano state modificate (abrogazione dell’OTR a seguito dell’entrata in vigore dell’OPSR) dopo la DTF Reinach (BL), questo principio mantiene la sua valenza. Le pre­scrizioni della Confederazione che permettono all’ente pubblico di delegare l’obbligo dello smaltimento secondo l’articolo 31b capoverso 1 secondo periodo LPAmb ai detentori e, al contrario, di consentire lo smaltimento da parte di terzi, continuano infatti a sussistere nell’articolo segg. OPSR. 

 

Albero decisionale per la distinzione tra rifiuti urbani e «altri rifiuti» provenienti dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche

La figura mostra quali rifiuti provenienti dalle imprese (incluse le aziende amministrative) e dalle amministrazioni pubbliche sono da considerarsi rifiuti urbani e quali «altri rifiuti» ai sensi dell’articolo 3 lettera a OPSR e della giu­risprudenza in materia. L’albero decisionale è uno strumen­to di supporto per la valutazione di una singola frazione di rifiuti (ad es. la carta). Gli altri rifiuti della stessa impresa o della stessa amministrazione pubblica possono ugualmente continuare a rientrare nel monopolio del settore pubbli­co (ad es. i rifiuti solidi urbani).

 

 

 

(1) Si raccomanda di considerare i rifiuti solidi urbani inclusi i rifiuti ingom­branti (rifiuti comparabili a quelli delle economie domestiche non raccolti separatamente) come rifiuti urbani e di affidarne lo smaltimento all’ente pubblico, tranne nei casi in cui vi siano notevoli differenze a livello di pro­porzioni quantitative rispetto ai rifiuti domestici abituali.

 

 

 

(2) Se l'ente pubblico intende imporre al detentore dei rifiuti di smaltirli sotto la propria responsabilità, deve informarlo. 

 

 

 

(3) Fintanto che il detentore dei rifiuti non provvede a comunicare la sua volon­tà all’ente pubblico, quest’ultimo può ritenere che il detentore rinunci ad avvalersi del diritto (cfr. DTF Reinach [BL]).

 

 

 

(4) Il caso particolare delle «aziende amministrative» è descritto nelle Note esplica­tive sulle amministrazioni pubbliche. 

 

 

Le presenti precisazioni sulla definizione di rifiuti urbani sono tratte dall'aiuto all'esecuzione «Finanziamento dello smaltimento dei rifiuti urbani»: 

Finanziamento dello smaltimento dei rifiuti urbani

uv-1827-f


Aiuto all’esecuzione per il finanziamento dello smaltimento dei rifiuti urbani secondo il principio di causalità. 2018

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Ultima modifica 05.09.2023

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