La ricerca incontra l’Ufficio federale: «Dobbiamo mostrare alla gente che il cambiamento è possibile»

Katrin Schneeberger, direttrice dell’UFAM, e Martin Grosjean, Direttore del Centro Oeschger per la ricerca sui cambiamenti climatici dell’Università di Berna, in un’intervista doppia parlano di capovolgimento di ruoli, decisioni fondate sulla conoscenza e giovani per il clima.

Dialogo: Kaspar Meuli

Martin Grosjean è laureato in geografia e nella sua tesi di laurea si è specializzato nel lavoro con i sedimenti lacustri come archivio ambientale. Ha lavorato anche presso l’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) ed è stato direttore generale del Polo di ricerca nazionale Clima (PRN Clima). Dal 2007 è direttore del Centro Oeschger per la ricerca sui cambiamenti climatici presso l’Università di Berna. Nel 2016 è diventato professore ordinario.

Katrin Schneeberger è laureata in geografia ed economia politica e ha conseguito il dottorato di ricerca in geografia economica e ricerca regionale. Nel corso della sua carriera ha lavorato anche presso il Centro per la valutazione delle scelte tecnologiche (TASWISS) e come segretaria generale della Direzione dei lavori della città di Berna. È stata direttrice supplente dell’Ufficio federale delle strade (USTRA). Dal 1° settembre 2020 è direttrice dell’UFAM.
© Kilian J. Kessler | Ex-Press | BAFU

Signora Schneeberger, signor Grosjean. Entrambi avete studiato geografia all’Università di Berna;
avete quindi una formazione molto simile. Oggi potreste anche scambiarvi di ruolo?

Katrin Schneeberger (KS): Sì, dopo la laurea ho continuato a lavorare nel mondo scientifico, come ricercatrice post-dottorato in Inghilterra. Successivamente ho però optato per un percorso più vicino alla politica. E non me ne pento.

Martin Grosjean (MG): Se penso alla mia formazione tecnica, potrei anche immaginare di dirigere l’UFAM. Mi mancherebbe però il lavoro con gli studenti, che fa parte della mia attività quotidiana in università.

Invertendo i vostri ruoli, come spieghereste all’altro il ruolo dell’UFAM e quello della scienza?

KS: Per me, lo scopo della ricerca è di elaborare le basi scientifiche con metodi che siano sempre verificabili e trasparenti. La scienza dovrebbe elaborare scenari e mostrare cosa succede quando facciamo o non facciamo una determinata azione.

MG: Facendo parte dell’Amministrazione federale, l’UFAM ha il compito di attuare le indicazioni che vengono date dalla politica, sia a livello nazionale che internazionale. Nel nostro settore penso in particolare all’Accordo di Parigi sul clima o alla Convenzione sulla diversità biologica.Inoltre, penso che l’UFAM debba svolgere un po’ il ruolo di avvocato difensore per le questioni ambientali nell’ambito delle varie politiche nazionali, dove non sempre va tutto liscio. È proprio in questi ambiti conflittuali che l’UFAM deve tenere alta la bandiera dell’ambiente.

In molte tematiche urgenti, dall’emergenza coronavirus alla crisi climatica, sono necessarie decisioni basate sulla conoscenza. Cosa ne pensa, signor Grosjean?

MG: Il processo decisionale fondato sulla conoscenza è una delle grandi conquiste dell’Illuminismo. Si tratta di comprendere che, con le nostre decisioni, determiniamo il futuro. A tal fine servono conoscenze relative ai sistemi, ad esempio sul funzionamento del sistema climatico. Ed è proprio questo il nostro compito di scienziati: dire quanto saliranno le temperature in funzione dell’aumento delle emissioni di gas serra e illustrare cosa succede se invece le emissioni vengono ridotte.Decidere in base alle conoscenze significa sapere cosa succede se prendiamo una decisione anziché un’altra.

Signora Schneeberger, l’UFAM prende le proprie decisioni anche in base ad altre considerazioni?

KS: L’UFAM decide sulla base di fondamenti scientifici. Le nostre divisioni specialistiche, che si basano su conoscenze tecniche, sono il nostro fondamento. Questo è chiaro. Ma dobbiamo anche ponderare le decisioni e collocarle all’interno di un contesto più ampio. Quando si tratta di preparare progetti politici, dobbiamo valutare se una determinata misura sia sostenibile dal punto di vista sociale ed economico, oppure dobbiamo considerare le implicazioni di un determinato valore obiettivo per le regioni rurali e le città.Di conseguenza non possiamo fare esclusivamente riferimento alle basi scientifiche.

Politica e amministrazione non sempre ascoltano la scienza. Ci sono situazioni in cui la scienza produce risultati politicamente indesiderati?

KS: Ci sono risultati scientifici che possono essere scomodi o impegnativi, ma risultati indesiderati no. Se si iniziasse a pensare in questo modo, si arriverebbe a una «scienza accomodante». Questo sarebbe uno sviluppo pericoloso.

Tutte le conoscenze scientifiche comportano sempre anche delle incertezze. Come vengono affrontate nella politica e nella scienza?

KS: Il settore climatico è un buon esempio. Qui vengono elaborati scenari con le più svariate probabilità di accadimento. Nelle nostre riflessioni facciamo riferimento allo scenario più probabile.

MG: Dare un nome alle incertezze fa parte della scienza. In questo contesto mi sembra importante il principio di precauzione, secondo cui dobbiamo agire prima che le incertezze siano chiarite fino all’ultimo dettaglio. Nelle questioni ambientali un simile atteggiamento è decisamente fondamentale.

Signor Grosjean, lei è direttore di un centro per la ricerca sul clima. In Svizzera, la politica dà ascolto alla scienza climatica? E l’amministrazione?

MG: Sul piano informale ci sono contatti che funzionano molto bene.I tragitti in Svizzera sono molto brevi, e questo è un vantaggio. Negli anni Novanta, la Svizzera era all’avanguardia in Europa nel dialogo tra scienza, politica e amministrazione. In quegli anni è stato fondato l’OcCC, un organo consultivo del Consiglio federale in materia di cambiamento climatico. Inizialmente ha funzionato alla perfezione, ma poi è passato in secondo piano. Ultimamente l’interesse per l’OcCC si è risvegliato e questo è molto positivo, perché lo scambio formale tra politica, amministrazione e scienza, nel quale si va alla ricerca del consenso, è estremamente importante.

La Svizzera punta su un elettorato consapevole. La popolazione è sufficientemente informata per poter esprimere il proprio voto su un progetto come la legge sul CO2? Occorrono conoscenze scientifiche per riuscire a farsi un proprio parere su tematiche come questa?

KS: Molti progetti che vengono oggi sottoposti a votazione sono estremamente complessi. Ma non è necessario avere conoscenze specialistiche per riuscire a farsi un’idea.Ritengo che sia compito dell’amministrazione informare in base ai fatti e in modo equilibrato e, se necessario, semplificare l’argomento in modo da renderlo comprensibile alla popolazione.

Signor Grosjean, è possibile semplificare gli aspetti climatici in modo che, alle urne, tutti sappiano su cosa stanno votando?

MG: Sì, io ne sono convinto. È proprio per questo motivo che molti ricercatori che si occupano di clima sono impegnati in conferenze pubbliche e apparizioni nei media in tutto il Paese. Dai sondaggi emerge inoltre che la popolazione svizzera è molto ben informata sulle questioni climatiche.

Gli aspetti scientifici relativi al cambiamento climatico sono noti già da tempo. Perché è così difficile passare dal dire al fare?

MG: Un problema è che la politica ha un orizzonte di pensiero molto breve, e molte imprese addirittura brevissimo. Invece, quando si tratta di politica climatica, bisogna pensare nel lungo termine; un esempio sono le questioni relative al cambiamento climatico. Servono decenni prima che le nuove tecnologie vengano sviluppate e implementate. E questo cambiamento non avviene per caso; servono condizioni quadro che i politici devono definire...

KS: ...qui la devo contraddire. Con l’obiettivo delle emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050 siamo giunti esattamente al punto in cui il lungo termine diventa molto tangibile. Le conseguenze del cambiamento climatico non diventeranno un problema prima o poi; esse riguardano la prossima generazione e quella successiva, i nostri figli e i nostri nipoti. È un aspetto molto concreto. Proprio per questo motivo cresce ora la pressione ad agire.

MG: Se si considera cosa serve per dimezzare le nostre emissioni di gas serra entro il 2030 e ridurle a zero entro il 2050, sono necessarie inversioni di rotta. La politica e l’economia hanno perso l’opportunità di avviare già 30 anni fa una svolta dolce, socialmente ed economicamente sostenibile.

KS: Non direi che servono «inversioni» di rotta. Ciò che serve è un modo di procedere graduale. La legge sul CO2 è il primo passo fino al 2030. Nella sua strategia climatica a lungo termine, il Consiglio federale sta già fissando gli obiettivi per la seconda fase, quella che va fino al 2050, anche se le misure devono ancora essere definite. E al contempo esso mostra che questa politica è fattibile. Indubbiamente tutto ciò ha un costo, ma non fare nulla costa molto di più. Non dobbiamo evocare timori di fronte al cambiamento, quanto piuttosto mostrare alla gente che il cambiamento è possibile.

I giovani per il clima esortano a spingere sull’acceleratore della politica climatica. Signora Schneeberger, questa pressione esercitata dalla società civile o il successo elettorale dei Verdi sono un sostegno a una politica climatica e ambientale incisiva?

KS: Il successo elettorale dei Verdi è confermato dalla composizione del Parlamento. Per noi sarebbe un sostegno se le maggioranze in Parlamento si spostassero a favore dei temi ambientali. Staremo a vedere.

Che impatto hanno le correnti sociali e politiche sulla scienza, signor Grosjean?

MG: La scienza è relativamente cauta nei dibattiti pubblici quando si tratta di politica, mentre si espone in merito ai fatti. Ed è proprio partendo dai fatti che i giovani per il clima fanno politica e sono diventati una forza politica. Credo che sia un ottimo esempio di suddivisione dei ruoli.

Signora Schneeberger, l’UFAM non si interessa solo agli sviluppi scientifici generali, ma commissiona anche studi molto specifici. Perché?

KS: Occasionalmente abbiamo bisogno di ulteriori ricerche applicate per colmare determinate lacune nelle conoscenze. È la cosiddetta ricerca pubblica, nella quale investiamo somme cospicue.

E, signor Grosjean, quanto è importante l’UFAM per la ricerca?

MG: I lavori che portano a un beneficio concreto attraggono in particolare i giovani ricercatori. Noi siamo quindi molto aperti alla ricerca che si svolge in un contesto reale. Mi sembra importante anche che l’UFAM soddisfi compiti centrali nell’osservazione ambientale. L’opinione pubblica ne è poco consapevole. Penso, ad esempio, alla rete di misurazione idrologica. Il fatto che, per un periodo molto lungo, un’istituzione come l’UFAM raccolga dati in continuazione, li elabori e li renda accessibili, ha un valore inestimabile per la ricerca...

...Sta facendo i complimenti all’UFAM. Ci sono anche delle critiche?

MG: Certamente noi scienziati e scienziate vorremmo qualche volta che l’UFAM osasse di più. Ma comprendiamo anche quanto sia difficile il suo ruolo. Siamo ben consapevoli dei campi conflittuali nei quali opera.

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Ultima modifica 01.09.2021

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