Sostenibilità: approcci per modificare il comportamento

Per affrontare le sfide legate all’ambiente non bastano le soluzioni tecnologiche, ma serve anche un profondo cambio di mentalità a livello sociale. La ricerca psicologica mostra in che modo veniamo indotti a modificare i nostri comportamenti e schiude così nuove possibilità per facilitare le decisioni che contribuiscono a un mondo più sostenibile.

Testo: Daniel Saraga

Lo spin-off Yasai del Politecnico federale coltiva erbe aromatiche in spazi verticali al coperto con illuminazione LED, senza prodotti fitosanitari e con una minore quantità d’acqua rispetto alle coltivazioni convenzionali. Il responsabile di produzione Tobas Beeler controlla le piante di basilico nell’impianto pilota a Niederhasli.

Parchi eolici offshore e impianti solari alpini, agricoltura verticale e carne in vitro, bioetanolo e cattura di anidride carbonica: le innovazioni tecnologiche ci fanno credere che una società sostenibile sia possibile senza dover modificare le nostre abitudini di consumo. Tuttavia, tali innovazioni da sole non basteranno se non saranno accettate dalla popolazione e soprattutto se non ci si orienterà a uno stile di vita più rispettoso delle risorse. Secondo gli psicologi del comportamento, modificare le abitudini è però più facile a dirsi che a farsi. Nei loro lavori illustrano i motivi che ci impediscono di abbandonare i modelli di vita e consumo esistenti ed esaminano le scuse che adduciamo per rimandare qualcosa a domani invece di farlo oggi. Propongono inoltre misure per facilitare le decisioni più sostenibili e ne verificano l’efficacia.

Ovviamente, le nostre decisioni dipendono dalle possibilità di scelta oggettive di cui disponiamo nel singolo caso, in particolare da riflessioni di carattere economico o da aspetti legati al comfort. Ma non solo: in realtà sono influenzate anche dalle nostre preferenze, dalla quantità e qualità delle informazioni disponibili, dal modo in cui tali opzioni ci vengono rese allettanti, nonché dalle nostre emozioni (v. riquadro). «Le emozioni svolgono un ruolo centrale nel nostro modo di reagire alle sfide in campo ambientale e ai cambiamenti climatici», spiega Tobias Brosch, responsabile del laboratorio di psicologia della sostenibilità dell’Università di Ginevra. «Fra di esse si annoverano la paura, magari di una catastrofe o della perdita di comfort, la frustrazione e le accuse nei confronti della politica e delle imprese che sono troppo poco attive in quest’ambito, oppure anche la vergogna per il fatto che le nostre azioni non sono in linea con i nostri principi».

«Queste emozioni non sono tutte negative», prosegue il ricercatore, menzionando come esempio l’empatia verso i soggetti coinvolti. La paura stessa può renderci maggiormente consapevoli della gravità della situazione e spingerci ad agire. Ma può anche immobilizzarci e tradursi in sconforto, fuga o un atteggiamento negativo di rifiuto. «Per evitare che le persone provino un senso di rassegnazione, ci si deve concentrare meno sugli aspetti negativi e più su quelli positivi, soprattutto sul fatto che esistono soluzioni e che possiamo farcela. La speranza è un’emozione molto importante, in quanto ci dà una visione e un motivo per lottare».

La trappola della compensazione

Una reazione ampiamente diffusa è la compensazione morale. Se ci comportiamo bene una volta, ciò riduce la nostra disponibilità a comportarci altrettanto bene in un’altra occasione, un po’ secondo il principio «adesso mi gusto un dessert perché prima ho mangiato solo un’insalata». Ci convinciamo che un viaggio in aereo non sia poi così drammatico, visto che il resto del tempo rinunciamo all’auto. Thomas Brudermann dell’Università di Graz in Austria spiega che si possono osservare anche spostamenti tra ambiti simili e tuttavia diversi: se non abbandoniamo rifiuti nel bosco e quindi facciamo qualcosa contro l’inquinamento ambientale, allora non è così grave se impostiamo il riscaldamento di casa a 22 gradi anche se questo nuoce al clima. Eppure la raccolta dei rifiuti non ha alcun legame diretto con la protezione del clima.

Nel suo libro sull’arte della scusa («Die Kunst der Ausrede»), il ricercatore in psicologia presenta una carrellata delle scuse più comuni con le quali giustifichiamo la nostra inazione in materia di protezione del clima. «Faccio già abbastanza», «la tecnologia risolverà il problema», «non serve a niente se si pensa agli scempi climatici della Cina» oppure «è già troppo tardi» sono solo alcune delle scuse più frequenti. «Con il mio libro non intendo stigmatizzare i nostri errori, bensì presentare in chiave umoristica i meccanismi ampiamente diffusi», chiarisce il ricercatore. «Incoraggio le lettrici e i lettori a osservare se stessi e gli altri e magari ad auto-motivarsi a cambiare qualcosa, invece di cercare delle scuse».

Per aumentare la probabilità che le persone adottino un comportamento auspicabile, si può intervenire su vari livelli, prosegue Tobias Brosch dell’Università di Ginevra: «È possibile migliorare la qualità delle informazioni messe a disposizione, per esempio corredando un prodotto di un’etichetta che fornisca informazioni sulla sua compatibilità climatica o ambientale». A tal fine è importante conoscere le reali esigenze delle persone. Un eccesso di informazioni può infatti mettere nell’impossibilità di prendere qualsiasi decisione.

Una seconda leva consiste nel sostenere le decisioni già adottate. Per esempio tramite applicazioni che ci inviano promemoria e ci incoraggiano a mantenere un buon comportamento. Il terzo approccio riguarda la struttura decisionale: così come il menu di un ristorante induce gli avventori a ordinare un antipasto, una portata principale e un dessert, allo stesso modo anche una caffetteria può indirizzare la scelta proponendo il piatto vegetariano prima della variante a base di carne. Un’impresa, a sua volta, può promuovere la mobilità lenta posizionando il parcheggio delle bici in prossimità dell’ingresso e spostando quello delle auto un po’ più lontano. Secondo Thomas Brudermann dell’Università di Graz, possiamo anche agire in modo consapevole su noi stessi, per esempio parcheggiando la bici davanti all’auto.

Meglio sostenibile che conveniente

Un provvedimento che può rivelarsi molto efficace consiste, secondo Tobias Brosch, nel prescrivere automaticamente l’opzione che si intende promuovere. Secondo uno studio condotto nel 2015 presso 42 000 economie domestiche tedesche, è stato possibile decuplicare il numero di acquirenti di corrente «verde» nonostante il prezzo più elevato, offrendo tale corrente per impostazione predefinita al posto di quella «normale». Le persone, infatti, tendono a non cambiare nulla, indipendentemente dal prezzo più alto.

La modifica della cosiddetta architettura decisionale solleva questioni di carattere etico. Ad esempio, non è riprovevole manipolare in questo modo le decisioni della popolazione? Non necessariamente, afferma lo psicologo: «L’importante è agire in modo trasparente, senza nascondere che le impostazioni standard sono state modificate e spiegandone i motivi». Si può anche ritenere che chi non cambia le impostazioni predefinite abbia un atteggiamento relativamente indifferente nei confronti delle diverse possibilità di scelta, per esempio corrente normale o rispettosa dell’ambiente, prezzo leggermente più alto o più basso. «La scelta dell’opzione prestabilita è sempre il risultato di una decisione. Siamo abituati al fatto che tale opzione sia in genere la variante più conveniente. Da un punto di vista morale o politico potrebbe però essere giustificabile sostituirla con la variante più sostenibile».

Ostacoli diversi a seconda del settore

Questi principi della psicologia comportamentale sono generalmente validi, ma presentano connotazioni diverse a seconda dei casi. Lo dimostrano inchieste come lo Swiss Sustainable Consumer Observatory. Nell’ambito di tale studio, circa 3600 persone sono state intervistate nel periodo dal 2021 al 2023 in merito alle loro abitudini di consumo in tre settori (alimentazione, abbigliamento ed elettronica) e ai fattori che secondo il loro parere impediscono l’adozione di decisioni più sostenibili. Dai risultati emerge che tali abitudini sono stabili, ma variano da settore a settore.

«La scelta dell’opzione prestabilita è sempre il risultato di una decisione», afferma Tobias Brosch, responsabile del laboratorio su scelte di consumo e comportamento sostenibile dell’Università di Ginevra.
© Caroline Minjolle/Lunax

Per quanto riguarda i generi alimentari, ad agire da freno è innanzitutto il prezzo più elevato delle alternative più ecologiche, seguito dalla diffidenza nei confronti dell’affidabilità dell’etichetta. Questi due fattori sono indicati più o meno con la stessa frequenza per l’acquisto di abbigliamento, mentre per l’elettronica l’ostacolo principale consiste nella riconoscibilità dei prodotti più sostenibili.

«Questi risultati mostrano quanto sia importante la differenziazione specifica per settore», spiega Swen Kühne, coautore dello studio e specialista di psicologia ambientale presso l’Università di scienze applicate di Zurigo ZHAW. Per le consumatrici e i consumatori è difficile confrontare la sostenibilità di numerosi prodotti, per esempio della frutta d’importazione rispetto a quella coltivata in serra. A ciò si aggiunge che l’alimentazione offre opzioni decisionali altamente differenziate in termini di impatto ambientale a seconda che sia di tipo vegano, vegetariano, a base di pesce o di carne. Nel settore dell’abbigliamento, la grande varietà di etichette rende ancora più difficile distinguere le singole opzioni. «Con un’etichetta unica, assegnata da un ente chiaramente indipendente come per esempio lo Stato, si potrebbe ripristinare un po’ di fiducia», raccomanda il ricercatore.

Inchiesta in tempo reale

Questa tipologia di inchiesta ha un punto debole: gli intervistati non ricordano in modo affidabile cosa hanno acquistato, tendono a orientare la loro risposta alle aspettative sociali e non sempre riescono a descrivere i motivi delle loro decisioni. Le applicazioni consentono invece di interrogare le persone al momento giusto e nel posto giusto. L’app GESIS sviluppata da un consorzio europeo sarà in grado di rilevare l’ubicazione delle utilizzatrici e degli utilizzatori e di interrogarli, durante gli acquisti in negozio o mentre cucinano, sul motivo per cui acquistano qualcosa o utilizzano un alimento piuttosto che un altro. «I partecipanti possono anche concedere al sistema l’accesso ai dati dei loro programmi fedeltà presso diversi negozi», spiega Sabrina Stöckli delle Università di Berna e Zurigo, che partecipa allo sviluppo dell’app.

«Grazie all’app potremo verificare successivamente, in particolare, l’attendibilità delle affermazioni formulate durante l’acquisto, confrontandole con i dati oggettivi dei programmi fedeltà», prosegue la ricercatrice di marketing. «Inoltre testeremo l’efficacia di diversi interventi, come per esempio l’invio di un messaggio che segnali la possibilità di un pasto vegetariano prima che le persone inizino a cucinare». Questo strumento potrebbe aiutare a verificare se le app commerciali che promuovono il comportamento sostenibile funzionano davvero, e quindi ad analizzare il mercato complesso della sostenibilità da una prospettiva scientifica.

Secondo Tobias Brosch, i numerosi lavori di ricerca psicologica aiutano a comprendere meglio gli ostacoli che si frappongono a un consumo più sostenibile. «Una società non può però diventare sostenibile solo grazie agli sforzi della popolazione. Questi devono essere sostenuti da decisioni politiche che sappiano indurre i necessari cambiamenti strutturali».

Come prendiamo le decisioni

La psicologia e l’economia comportamentale hanno individuato molteplici fattori, oltre alle riflessioni di carattere economico, che influiscono in modo determinante sulle nostre decisioni. La scelta che facciamo nel singolo caso dipende da numerosi aspetti psicologici. Alcuni di questi sono evidenti, come le preferenze personali, l’avversione ai cambiamenti oppure l’attrattiva di una ricompensa immediata e visibile piuttosto che futura e astratta. Altri sono inconsci, come l’influsso delle nostre emozioni o le distorsioni cognitive. Tra queste ultime si annoverano ad esempio l’effetto framing (la differenza percepita tra «70 % di probabilità di vincita» e «30 % di probabilità di perdita») o l’effetto ancoraggio (impatto della prima impressione).

Anche i fattori sociali svolgono un ruolo, in particolare le norme sociali e la pressione sociale, il parere delle persone vicine o l’appartenenza a un gruppo. Questi diversi aspetti possono essere presi in considerazione quando si tratta di informare la popolazione, di presentarle le possibilità di scelta e di sostenerla nel processo decisionale. L’architettura decisionale è l’arte di indurre le decisioni desiderate, per esempio mediante la prescrizione di default di un’opzione, la presentazione delle diverse varianti o l’indicazione che il 90 per cento dei nostri vicini ha scelto il comportamento «corretto».

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Ultima modifica 25.09.2024

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