Riconciliare economia ed ecologia: chi danneggia l’ambiente deve pagare

L’economia ambientale offre strumenti efficaci per risolvere problemi quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Non stupisce, quindi, che la sua importanza sia cresciuta negli ultimi decenni. Di pari passo ci si sta concentrando sempre più anche sulla necessità di dissociare il consumo delle risorse dalla crescita economica.

Testo:  Gregor Klaus

Peperoni dai colori sgargianti ben in mostra sullo scaffale invitano i consumatori all’acquisto. Quello che non si vede, invece, è l’elevato consumo di acqua necessario per coltivarli, le difficili condizioni di lavoro, l’impiego di pesticidi e fertilizzanti, i lunghi tragitti per il trasporto. I prezzi dei prodotti che acquistiamo ogni giorno non rispecchiano evidentemente il danno arrecato ai beni pubblici. Il nostro consumo continua ad aumentare, così come le ripercussioni sull’ambiente a livello globale. L’economia ambientale imputa tutto questo al fallimento del mercato. Uno degli strumenti più importanti per risolvere questo tipo di problemi è l’internalizzazione (ossia il trasferimento all’interno) dei costi che la società deve sostenere a causa dell’inquinamento di aria e acqua, della degradazione del suolo, della perturbazione della quiete, della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico.

Scintille responsabili dei danni

L’economista Arthur Cecil Pigou è stato il primo a mostrare che le attività economiche possono recare a terzi danni che non vengono risarciti dai responsabili. Negli anni Venti ha constatato che le ferrovie a carbone causavano incendi dovuti alle scintille sui campi vicini ai binari, senza alcun risarcimento per i proprietari terrieri. Secondo Pigou, questi danni avrebbero dovuto essere risarciti dalla società ferroviaria. Negli anni Settanta la stessa logica è passata all’economia ambientale.

La teoria sembra convincente, tanto che ci si chiede come mai non sia stata messa in pratica prima. Uno sguardo alle realtà metodologiche e politiche fornisce le risposte. In primo luogo, è tutt’altro che facile calcolare i danni. Nel caso dell’incendio dovuto a scintille potrebbe essere abbastanza semplice. Ma più difficile è esprimere in un importo concreto la perdita del beneficio di un ambiente integro dovuta all’inquinamento, per non parlare di danni e benefici che si estendono nel futuro.

Pur esistendo diversi studi sulla monetarizzazione, a oggi il suo impatto sulla politica è molto limitato. Un noto lavoro risalente al 1997 aveva come compito quello di calcolare il valore che la natura ha per l’uomo. Il risultato fu un beneficio globale degli ecosistemi compreso tra 16 e 54 miliardi di dollari USA all’anno – quindi nell’ordine di grandezza del PIL mondiale. «Queste cifre hanno avuto un grande impatto politico-sociale» dichiara Irmi Seidl, responsabile dell’Unità di ricerca Scienze economiche e sociali all’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL). Tuttavia, sono state mosse anche critiche feroci, come il fatto che la natura è necessaria alla sopravvivenza dell’uomo e come tale non può essere monetizzata.

Cifre e valori monetari

Nel 1999, in un articolo specializzato, Irmi Seidl aveva parlato dei rischi e delle opportunità legati alle operazioni di monetarizzazione. Per essere significative e giustificabili, queste devono includere anche considerazioni di natura ecologica, etica, politica ed economica, scrisse la ricercatrice a suo tempo. Oggi fa un bilancio: «Negli ultimi decenni i metodi sono stati ulteriormente perfezionati e sottoposti a valutazione critica. In una certa misura queste cifre vengono utilizzate in politica, ma i problemi di fondo persistono, perché la conoscenza delle interrelazioni ecologiche è inevitabilmente incompleta, molti mercati per i servizi forniti dalla natura sono ipotetici e le persone non ragionano sempre in termini economici. La popolazione e il mondo della politica vorrebbero vedere cifre e valori monetari anche laddove questi calcoli possono essere contestati con valide argomentazioni».

Internalizzazione a metà

L’UFAM utilizza i risultati ottenuti da studi di monetarizzazione, ma solo in modo molto mirato – ed è ben consapevole dei problemi metodologici. Susanne Blank, capo della divisione Economia e innovazione presso l’UFAM, fa notare che, per evitare malintesi, è necessario che gli studi siano svolti in modo metodologicamente ordinato e i risultati siano comunicati correttamente. «Prezzi e meccanismi di mercato devono essere all’altezza del bene valutato» aggiunge. Come Irmi Seidl, sottolinea che, attraverso la monetarizzazione, i valori sociali ed etici che le persone attribuiscono alla natura si perdono.

Ancora oggi le rettifiche dei prezzi dovute ai danni ambientali calcolati sono molto rare. «Un motivo diffuso per cui la cosiddetta internalizzazione non viene praticamente attuata è il timore di danneggiare l’economia» spiega Irmi Seidl. «La politica ambientale viene quindi subordinata alla crescita, con il rischio che possono continuare a esistere segnali di prezzo sbagliati».

Il problema della crescita

Dal momento che il calcolo dei danni ambientali e soprattutto l’internalizzazione procedono con estrema lentezza, i riflettori vengono puntati sempre più sulla necessità di dissociare il consumo di risorse dalla crescita economica. Qui l’UFAM ha generato basi valide per i dibattiti in corso, tra cui gli studi sui flussi dei materiali e le catene di fornitura, dai quali emerge che circa due terzi dei danni ambientali che hanno origine in Svizzera si ripercuotono all’estero. Era anche importante passare da dimensioni globali al livello nazionale. Il risultato è che, se tutti vivessero come noi, sarebbero necessari più di tre pianeti Terra per soddisfare il nostro esagerato consumo di risorse. Quest’anno l’«Overshoot Day» della Svizzera è stato l’11 maggio: dal 1° gennaio all’11 maggio 2021 la popolazione ha consumato tutte le risorse naturali che il nostro pianeta è in grado di produrre per un anno intero. Per tornare a operare all’interno dei confini globali, oltre allo sviluppo di tecnologie la Svizzera ha bisogno soprattutto di processi di trasformazione sociali, che comportano inevitabilmente la ricerca di possibilità di sviluppo alternative. Irmi Seidl è convinta che l’indipendenza dalla crescita economica debba essere un elemento centrale, dal momento che, finora, la dipendenza economica e sociale dalla crescita dell’economia ha impedito una politica ambientale efficace, e con essa anche l’internalizzazione di costi esterni, sebbene ci sia un vasto consenso su questo in economia.

Tuttavia, abbandonare l’orientamento alla crescita significa sollevare questioni pesanti: se prodotti come l’aspirapolvere o il mixer avessero una durata pari a tre volte quella attuale, non solo servirebbe un terzo delle risorse, ma anche un terzo dello spazio nei negozi e del personale addetto alla vendita. E queste persone come potrebbero lavorare e guadagnare? «Dobbiamo porci queste domande e individuare le possibili prospettive» afferma Susanne Blank dell’UFAM. «Il settore delle riparazioni, ad esempio, si troverebbe a dover soddisfare molte più richieste di oggi. In questo campo si creerebbero posti di lavoro, soprattutto sul territorio nazionale».

Sussidi sotto i riflettori

La strada è ancora in salita. Nel frattempo potrebbe intervenire uno strumento molto importante: la politica finanziaria. Susanne Blank fa notare che, con la parola chiave «Green Budgeting», l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha raccomandato agli Stati di adottare in modo mirato strumenti della politica di bilancio per raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici. Irlanda, Norvegia e Francia sono all’avanguardia sotto questo aspetto.

La Svizzera sta verificando l’effetto nocivo che i sussidi attuali hanno sulla biodiversità. L’anno scorso la ricercatrice Irmi Seidl ha presentato una prima analisi insieme alla collega Lena Gubler e al Forum Biodiversità Svizzera. In questo studio vengono identificati ben 160 sussidi che, in diverso modo, hanno un impatto molto dannoso sulla biodiversità. Questi sussidi vengono concessi nei settori trasporti, agricoltura, economia forestale, produzione e consumo di energia, sviluppo degli insediamenti, turismo, smaltimento delle acque di scarico e protezione contro le piene. «Molti di questi flussi di denaro sono economicamente inefficaci e dovrebbero pertanto essere ridestinati, ridotti, in alcuni casi persino aboliti» dichiara Seidl. Lo studio serve all’UFAM come punto di partenza per la valutazione dei vari sussidi previsti dal piano d’azione Biodiversità. Entro il 2023 devono essere illustrate le possibilità di miglioramento relative alla sostenibilità (ecologia, economia e sociale). «In collaborazione con altri uffici lavoriamo per rettificare incentivi errati» conclude Susanne Blank.

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Ultima modifica 01.09.2021

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