La digitalizzazione ha tutte le carte in regola per cambiare radicalmente la nostra mobilità. Le nuove possibilità spaziano dall’auto autonoma all’applicazione che riunisce tutte le offerte di trasporto accessibili, compresi taxi, biciclette a noleggio o treni notturni. Ma qual è l’impatto di questa evoluzione sull’ambiente?
Testo: Kaspar Meuli
Dai riscontri avuti, sembra che i passeggeri più entusiasti dei minibus autonomi di Sion siano gli anziani. Chi se lo sarebbe aspettato nel 2016, quando è stato lanciato questo progetto che resta finora il più grande esperimento con veicoli di questo tipo mai condotto in Svizzera? Da allora, nel centro della capitale vallesana la compagnia AutoPostale ha trasportato, con i suoi due bus navetta elettrici, oltre 50 000 passeggeri. E il progetto pilota continua, anche se si è rivelato complesso e tecnicamente impegnativo. Le forti nevicate, ad esempio, mettono a dura prova i sensori di questi bus autonomi. Inoltre, nel rispetto delle norme in vigore, occorre sempre e comunque la presenza, a bordo, di un collaboratore della compagnia di trasporto. AutoPostale riassume così lo stadio attuale del progetto: «stiamo cercando, a piccoli passi, di aumentare la complessità». A lungo termine, i bus autonomi potranno, ad esempio, «servire sull’ultimo chilometro di raccordo alla rete di trasporti pubblici». Ad ogni modo, AutoPostale non prevede di dotare di questo tipo di veicoli le linee esistenti.
Ecco, per ora, il punto al quale sono giunti i veicoli autonomi sulle strade svizzere. Non molto spettacolare, anzi, e ad anni luce dalle fantasie più scatenate dei visionari della mobilità e di investitori attirati dalle opportunità offerte dalla digitalizzazione. «I veicoli autonomi progrediscono a ritmi mozzafiato», scrive ad esempio la società di revisione e consulenza KPMG.
Anche in Svizzera ferve la ricerca sugli effetti della digitalizzazione nel settore dei trasporti. Il Politecnico federale di Zurigo e le FFS, ad esempio, hanno annunciato nel 2018 lo stanziamento di 100 milioni di franchi per una «iniziativa sulla mobilità», mentre l’Ufficio federale delle strade (USTRA) finanzia il programma di ricerca «Trasporti del futuro» e la Fondazione per la valutazione delle scelte tecnologiche TA-SWISS sta preparando uno studio sulle auto autonome.
Ecosistema della mobilità
Nonostante tutti gli studi, è impossibile dire esattamente come e fra quanto tempo la digitalizzazione cambierà la nostra mobilità. Per il momento, le possibili applicazioni delle nuove tecnologie sulle nostre strade non sono ancora abbastanza concrete, e il loro uso futuro è troppo incerto. Tuttavia, è evidente che la posta in gioco va ben oltre la semplice circolazione di veicoli senza conducente. Potrebbero infatti ben presto far parte della nostra vita quotidiana, ad esempio, i bus che non percorrono più tratte fisse secondo un orario rigido, ma che si spostano in funzione delle esigenze degli utenti. Mentre è già realtà la possibilità di organizzare la propria mobilità ricorrendo a più mezzi di trasporto, ma prenotati e pagati attraverso un’unica applicazione per smartphone. È in questo contesto che gli esperti parlano di «ecosistema della mobilità» e di «mobility as a service». Non ci si sposta più con il proprio veicolo, ma si ricorre alle offerte proposte da più operatori.
In Finlandia il futuro senza auto private è già arrivato. A Helsinki, l’applicazione Whim aiuta l’utente a pianificare i suoi spostamenti e a selezionare i trasporti secondo la migliore combinazione possibile sul suo percorso. Oltre alle linee di autobus e di treni, l’applicazione prende in considerazione servizi di car sharing, noleggio (auto e biciclette) oppure taxi. L’aspetto particolarmente innovativo di questa offerta è che chi viaggia molto può concludere, a partire da 500 euro al mese, una tariffa forfettaria di mobilità e utilizzare illimitatamente tutti i mezzi di trasporto a disposizione. Whim è un prodotto della società MaaS Global, che ha grandi progetti: alle nuove sedi in Gran Bretagna e in Belgio, dove è già possibile utilizzare l’applicazione, se ne aggiungeranno ben presto altre in Europa e in Asia.
Ma quale impatto ha sull’ambiente questo mondo futuristico di mobilità liberamente combinabile e di veicoli autonomi? La popolazione rinuncerà completamente a possedere un’auto, almeno nelle città? O diventeremo una società ancora più mobile, con una pressione sul clima ancora maggiore? «Niente garantisce che la digitalizzazione avrà un impatto positivo sull’ambiente. A questo scopo occorrono determinazione politica e le giuste condizioni quadro», sottolinea Lorenz Hilty che, in veste di professore di informatica all’Università di Zurigo, si occupa di questioni relative alla sostenibilità della trasformazione digitale, e che nel 2017 è stato incaricato da WWF e da Swisscom di studiare le possibili conseguenze della digitalizzazione sulla protezione del clima in Svizzera.
Il traffico aumenterà o diminuirà?
Hilty avverte: se il prezzo dell’energia, e quindi della mobilità, non aumenterà, potrebbe delinearsi uno «scenario dell’orrore» nel quale, ad esempio, le auto autonome gireranno a vuoto per ore fino prima di trovare un parcheggio. Oppure questo tipo di veicoli potrebbe mettere in serie difficoltà i trasporti pubblici: per quale motivo recarsi al lavoro in treno come pendolari quando si può farlo più comodamente con la propria auto, senza curarsi di doverla guidare? Inoltre, se viaggiare in auto non sarà più associato a situazioni di stress, si potrà anche prendere in considerazione la possibilità di percorrere tratte più lunghe da casa al lavoro, con un’inevitabile espansione degli abitati.
Nella migliore delle ipotesi, tuttavia, la digitalizzazione può diventare la chiave per risolvere i nostri problemi di trasporto e avere così un impatto positivo sull’ambiente. «Si tratterà di vedere se la mobilità digitalizzata avrà bisogno di più o di meno spazio», spiega Klaus Kammer della sezione Osservazione ambientale dell’UFAM, ricordando che oggi, nei centri urbani, le carreggiate e i parcheggi possono occupare fino al 50 per cento dello spazio. Ciò è dovuto in larga parte all’uso ben poco efficiente delle auto che, per il 95 per cento del tempo, sono parcheggiate e, quando sono in movimento, di solito hanno una sola persona a bordo. Se la digitalizzazione può affrontare questo problema fornendo soluzioni che soddisfino le esigenze di molti, le sue potenzialità positive sono considerevoli.
Le simulazioni mostrano che, se nelle aree metropolitane tutto il traffico potesse essere gestito mediante taxi collettivi autonomi, si potrebbe ridurre il numero di veicoli anche del 90 per cento. Inoltre, questi veicoli possono rendere il traffico più sicuro poiché possono circolare più vicini e, di conseguenza, evitare gli imbottigliamenti. Infine, se diminuisce il rischio di incidenti, si potranno costruire veicoli più leggeri, riducendo così il consumo energetico e risparmiando materiali.
Nuove forme di car sharing
Ma un tale futuro significa dire addio all’auto come spazio di rifugio personale – difficile, per una società motorizzata come la nostra. Ad esempio, il convetturaggio (car pooling) per recarsi al lavoro è stato promosso per anni, ma in pratica non è ancora riuscito ad affermarsi. Così come il car sharing privato, che l’azienda Sharoo vorrebbe riuscire a estendere in Svizzera. Sharoo offre ai suoi utenti una piattaforma che consente di noleggiare la propria auto ad altri, su base oraria. Ma nonostante un marketing intenso e finanziatori importanti come AMAG, Migros e Mobiliare, il progetto non avanza. Dei 4,6 milioni di autoveicoli in circolazione sulle strade svizzere, solo 1800 sono attualmente registrati nella banca dati di Sharoo. Quindi non inganniamoci: i proprietari di un’auto non sembrano disposti a lasciarla a uno sconosciuto in cambio di pochi franchi di guadagno extra.
D’altronde, non è un caso che l’azionista di maggioranza di Sharoo sia l’importatore di autovetture AMAG, poiché anche le grandi case automobilistiche sono alla ricerca di nuovi campi di attività. BMW e Daimler, ad esempio, hanno messo a punto ciascuna un sistema di car sharing (DriveNow e car2go) basati sul cosiddetto principio del flusso libero (free floating), con i quali sono presenti in diverse decine di città europee e statunitensi. Contrariamente allo svizzero Mobility, questi sistemi non prevedono stazioni fisse di noleggio. Per trovare un’auto, basta consultare un’applicazione per smartphone, sulla quale figurano tutti i veicoli disponibili nelle vicinanze. Dopo l’uso, l’auto può essere lasciata in qualsiasi parcheggio pubblico. Quanto al gruppo VW, sta a sua volta sperimentando un progetto di ride sharing, basato su minibus pubblici che circolano in modo flessibile (cfr. riquadro a p. 30).
Ma non sono solo i tradizionali fornitori di mobilità, quali le aziende automobilistiche e le compagnie ferroviarie, a volersi assicurare una fetta della promettente torta digitale. Secondo KPMG, il 70 per cento dei 50 miliardi di franchi, confluiti negli ultimi cinque anni nello sviluppo delle auto autonome, non è stato stanziato dall’industria automobilistica bensì da attorni esterni, quali Google o Amazon.
Protezione dei dati: problemi in sospeso
Anche attori esterni provano a cimentarsi nei nuovi servizi di mobilità. Ad esempio la startup bernese Fairtiq, fondata nel 2016, ha sviluppato una nuova applicazione mobile che consente all’utente di rinunciare all’acquisto dei biglietti dei trasporti pubblici in anticipo sull’intera rete coperta dall’abbonamento generale. Chi vuole viaggiare in treno, tram o autobus, deve semplicemente attivare l’applicazione quando sale e arrestarla quando scende. Al termine della giornata l’applicazione calcolerà automaticamente il prezzo delle tratte percorse, registrate mediante GPS, che verrà poi addebitato su una carta di credito.
Il fatto che un’applicazione di questo tipo – Fairtiq è solo uno dei numerosi fornitori attivi in Svizzera – sappia sempre dove si trovano i suoi clienti e possa utilizzare in vari modi le relative informazioni causa inquietudine a chi si occupa di protezione dei consumatori o dei dati personali. Difatti, le questioni ancora aperte sono numerose. Ad esempio: è vero che i dati relativi ai tragitti sono analizzati solo in forma anonima? Si pone anche una domanda molto più importante: quale prezzo siamo disposti a pagare per i servizi che ci prospetta la mobilità del futuro? Ma anche: come evitare che la digitalizzazione non diventi fine a sé stessa, spinta avanti solo da ciò che è tecnicamente fattibile? Lorenz Hilty dell’Università di Zurigo ricorda anche un altro aspetto: più il nostro mondo è digitalizzato, più diventa vulnerabile ai guasti o agli attacchi dei pirati informatici. «Sento mancare la consapevolezza che, in quanto società, dovremmo affrontare il progresso della digitalizzazione con molta più ponderazione.»
Trasporti pubblici individualizzati
Se l’esempio di Moia farà scuola, possiamo affermare sin da ora che i confini fra trasporti pubblici e mezzi individuali scompariranno. Dall’estate 2018, questa filiale della Volkswagen attiva ad Hannover propone un servizio di ride sharing. La sua flotta di circa 80 minibus circola nell’area urbana raccogliendo passeggeri che si recano nella stessa direzione. Il fulcro del sistema è costituito da un algoritmo intelligente che calcola e coordina i percorsi dei minibus a sette posti. L’utente segnala all’applicazione il suo punto di partenza e la sua meta, e l’applicazione risponde indicando dove e quando sarà prelevato, il costo del tragitto e l’ora prevista per l’arrivo. Il pagamento avviene automaticamente mediante carta di credito depositata. Il nuovo servizio sembra soddisfare un bisogno reale, poiché la flotta è in continua espansione e, dalla primavera 2019, Moia è presente anche ad Amburgo. Resta da vedere se l’offerta spingerà davvero il maggior numero possibile di persone a fare a meno di un’auto propria. Infatti, non si può escludere che gli attuali clienti di Moia siano persone che viaggiano da sempre con i mezzi pubblici.
Questioni di responsabilità aperte
Alcuni ostacoli nel cammino verso la mobilità digitale sono costituiti da dalla necessità di uniformare gli standard tecnici e da incertezze giuridiche. Sono soprattutto i veicoli autonomi che sollevano le maggiori difficoltà, in particolare per quanto riguarda la responsabilità civile. Se capita un incidente, chi è responsabile: il fabbricante dell’automobile? La società che ha sviluppato il programma informatico? Il proprietario del veicolo? Il Consiglio federale ha presentato un rapporto sulla guida autonoma e sulle sue conseguenze per la politica dei trasporti (Automatisiertes Fahren – Folgen und verkehrspolitische Auswirkungen / Conduite automatisée – Conséquences et effets sur la politique des transports), nel quale risponde a queste domande, pur se non in modo definitivo. Ritiene che, probabilmente, non sarà necessario modificare in modo radicale il sistema di responsabilità civile e di assicurazione dei veicoli a motore. Tuttavia, può darsi che in futuro la responsabilità non spetterà più al solo proprietario bensì, assieme a lui, anche al costruttore del veicolo, al fornitore di servizi di navigazione e ad altri gestori di infrastrutture.
In un altro ambito, invece, le modifiche legislative sono già in corso, poiché il Consiglio federale vuole consentire a fornitori di servizi innovativi di combinare le diverse modalità di trasporto in modo più mirato, riunendo le offerte su misura e adatte alle esigenze della popolazione. Per questa ragione, anche fornitori esterni al settore della mobilità potranno attingere a dati sul comportamento dei passeggeri e mettere in vendita i loro servizi attraverso le aziende di trasporto pubblico.
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Ultima modifica 04.09.2019