Impianti di incenerimento dei rifiuti urbani: il trattamento dei gas di scarico nell’IIRU è una storia di successo

Grazie ai progressi nel trattamento dei gas di scarico, i moderni impianti di incenerimento dei rifiuti urbani (IIRU) producono emissioni di sostanze nocive solo moderate o molto basse. Una delle strutture più moderne d’Europa si trova in Ticino ed è l’unico IIRU della Svizzera a pubblicare i propri valori di emissione anche online.

Testo: Vera Bueller

© Luca Dieguez

Chi viaggia in treno o in auto verso sud non può fare a meno di notare l’imponente costruzione di cemento dell’impianto di incenerimento dei rifiuti urbani che sorge in prossimità dell’autostrada A2 e della linea ferroviaria del San Gottardo a Giubiasco (TI). Ma quasi nessuno crederebbe che l’aria che fuoriesce dai due camini alti 55 metri contenga meno particelle di polveri fini dell’aria ambiente circostante. Questo nonostante l’enorme cubo di cemento sia un impianto di incenerimento dei rifiuti urbani – uno, però, dei più puliti e moderni d’Europa.

E non si tratta soltanto di parole, come Robin Quartier, direttore dell’Associazione svizzera dei dirigenti e gestori degli impianti di trattamento dei rifiuti (ASIR), si affretta a dimostrare con una scarpa di gomma verde e un grande unicorno gonfiabile. «Possiamo gettare entrambi questi oggetti di plastica nella fossa dei rifiuti e stare a vedere che cosa succede – soprattutto durante il trattamento dei fumi», propone. La cosa però è tutt’altro che semplice: la scarpa verde e l’unicorno scompaiono in men che non si dica nell’enorme fossa piena di rifiuti urbani. Come un ragno gigante di un film di fantascienza, la benna idraulica del carroponte affonda nella montagna di rifiuti e lascia poi cadere la spazzatura in un altro punto, forma nuovi mucchi e infine fa scomparire un carico completo nella tramoggia di alimentazione del forno. «I rifiuti devono essere ben miscelati, altrimenti non bruciano a dovere», spiega il responsabile tecnico dell’impianto, Hansjörg Ittig, che insieme a noi sta osservando il processo da dietro una parete vetrata piena di polvere. I camion conferiscono sempre più rifiuti. La capacità di smaltimento di una linea – Giubiasco ne ha due – è pari a circa 230 tonnellate al giorno con un potere calorifico di circa 3,5 megawattora a tonnellata. La fossa è in grado di accogliere un volume di spazzatura fino a 9000 metri cubi.

L’impianto costato 331 milioni di franchi è entrato in funzione nel 2009. La Confederazione aveva contribuito ai costi con circa 73 milioni di franchi. Un investimento che è valso la pena sia sotto il profilo energetico che sotto quello finanziario. Nel 2019 è stato dichiarato un utile di esercizio pari a 2,3 milioni di franchi e sono stati venduti, ossia immessi nella rete pubblica, 9,5 milioni di franchi in teleriscaldamento e corrente. Il grande guadagno che questo sistema rappresenta per l’ambiente diviene chiaro nel corso del giro con Hansjörg Ittig e Robin Quartier.

Né la scarpa né l’unicorno sono riciclabili

Non è molto edificante vedere tutto quello che la nostra società dismette e butta tra i rifiuti – per esempio la scarpa di gomma verde acceso o l’unicorno gonfiabile. Entrambi, oggi, non sono ancora riciclabili. «In realtà la scarpa brucia bene, però contiene zinco come stabilizzatore per la plastica. Se dovesse essere incenerita nel forno dell’IIRU, produrrebbe CO2 e vapore acqueo. E lo zinco sarebbe rilasciato sotto forma di polveri», spiega Robin Quartier mentre noi guardiamo attraverso degli spioncini come i rifiuti si muovono lungo il canale di carico inclinato fino a raggiungere il fuoco vivo della camera di combustione. Il forno è dotato di griglie mobili per permettere il continuo avanzamento e movimento dei rifiuti durante l’incenerimento. Due correnti d’aria forzata sono immesse in combustione per fornire la necessaria quantità di ossigeno e mantenere la temperatura costante a 800-1000 gradi. In tal modo i rifiuti sono inceneriti pressoché completamente. L’unicorno e la scarpa scompaiono tra le fiamme nel giro di pochi secondi.

Avanziamo nel capannone alto tre piani con le sue enormi torri di lavaggio, facendoci strada attraverso un labirinto di tubi intrecciati e avventurosi «camminamenti» e scale che assomigliano ai ponteggi metallici di un cantiere. C’è tanto rumore e fa caldo. Presso una delle torri di lavaggio ritorniamo sulle tracce dell’unicorno gonfiabile: «È fatto di PVC, che contiene molto cloro. E se dovesse essere incenerito nel forno formerebbe acido cloridrico. Qui nella torre di lavaggio l’acido cloridrico viene lavato via», spiega Robin Quartier.

Trattamento dei fumi a quattro stadi

Nel nostro giro siamo giunti al luogo dove l’acqua usata per il trattamento dei fumi e delle ceneri volanti viene trattata – tramite lavaggio delle ceneri volanti, filtrazione, neutralizzazione – prima di essere immessa nel fiume Ticino. Qui si trovano i «resti» riuniti della scarpa di gomma e dell’unicorno: da un lato, l’acido cloridrico dell’unicorno è stato separato; dall’altro, le polveri contenenti zinco della scarpa sono state catturate nell’elettrofiltro e mescolate con le acque reflue acide delle torri di lavaggio. Robin Quartier illustra il processo: «Mescolando le polveri filtrate contenenti zinco con le acque reflue acide provenienti dalla torre di lavaggio è possibile separare lo zinco e, al tempo stesso, neutralizzare in parte le acque reflue acide e recuperare e riciclare lo zinco dalla soluzione». Il rilascio delle diverse componenti dei gas di scarico nell’aria, nel suolo e nell’acqua è dunque impedito mediante un abile procedimento: l’unicorno in PVC separa con il suo acido cloridrico lo zinco dalla scarpa, mentre l’acido cloridrico viene neutralizzato con latte di calce. Nella successiva fase di denitrificazione, gli ossidi di azoto (NOX) generati dall’incenerimento della plastica vengono fortemente ridotti. Alla fine del viaggio della scarpa di gomma e dell’unicorno, dal camino non fuoriescono né acido cloridrico né polveri di zinco.

Ciò che viene «sputato fuori» è il risultato di un trattamento dei fumi a quattro stadi: elettrofiltro, torre di lavaggio, catalizzatore e filtro a maniche. Il filtro a maniche come filtro di sicurezza consente di raggiungere valori molto bassi di polveri fini (Particulate Matter, PM), come constatato dal Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (EMPA) e dall’UFAM durante un’indagine condotta nel 2016. Due terzi del volume dell’intero impianto sono destinati al trattamento dell’aria di scarico. Una scelta che si è rivelata vincente per l’ambiente, come dimostrano anche le cifre: l’aria di scarico contiene meno di 100 particelle di polveri fini per centimetro cubo – nell’aria esterna «normale» attorno all’IIRU, che sorge in prossimità dell’autostrada, il numero di particelle arriva anche a 40 000.

Si tratta probabilmente delle emissioni più basse tra tutti gli impianti di incenerimento dei rifiuti della Svizzera e dell’Europa. Le emissioni sono monitorate dalla stazione di controllo per mezzo di sonde installate nei camini. E – caso unico per la Svizzera – i dati rilevati (NOX e PM) vengono pubblicati giornalmente in Internet.

Assorbire il CO2 dall’aria?

Rimangono però le emissioni di CO2. Non si potrebbe recuperare il CO2 anche qui, come avviene in via sperimentale nell’impianto Kehrichtverwertung Zürcher Oberland (KEZO) a Hinwil (ZH)? «Questo è un punto. Ma la grande domanda è: che fine fa il CO2, dove viene accumulato? Occorre inoltre considerare che un sistema di recupero del CO2 consuma molta energia», spiega Robin Quartier. In Ticino una parte dell’energia necessaria potrebbe però essere generata dall’impianto stesso. Infatti, il calore prodotto dall’incenerimento dei rifiuti è utilizzato già oggi e convogliato sotto forma di teleriscaldamento a utenti pubblici e privati nella zona di Bellinzona. 

L’energia termica recuperata corrisponde attualmente a circa 5 milioni di litri di olio da riscaldamento – una quantità sufficiente a riscaldare per un anno fino a 2800 famiglie svizzere. Un’altra parte dell’energia termica è utilizzata per generare corrente all’interno dell’impianto e immetterla nella rete: si parla di circa 100 000 000 di kilowattora (kWh), che a fronte di un consumo di 4500 kWh/anno equivalgono al fabbisogno annuo di 23 000 famiglie. Una parte è impiegata anche per il fabbisogno di corrente dell’impianto stesso.

Recupero del fosforo dal 2026

Quello che alla fine rimane di tutti i rifiuti è raccolto su un nastro trasportatore che trasporta le scorie – con tutti i componenti non inceneriti. Prima di essere depositate nella discarica di Lostallo (GR), le scorie sono passate al setaccio per estrarre e riciclare i metalli contenuti al loro interno. Il materiale recuperato, come il ferro e l’alluminio, rappresenta circa l’11 per cento delle scorie.

«In futuro non sarà più possibile incenerire insieme alla spazzatura anche i fanghi di depurazione provenienti dal trattamento delle acque reflue», fa notare il direttore tecnico Hansjörg Ittig, rimandando all’obbligo di recupero del fosforo a partire dal 2026. Nei fanghi di depurazione di tutta la Svizzera sono contenute circa 6000 tonnellate di fosforo, più o meno la stessa quantità necessaria per il fabbisogno di concime del Paese, che oggi deve essere importata da oltreoceano. Insieme al carbonio, il fosforo è l’ultimo elemento importante il cui ciclo non è ancora chiuso. La Svizzera è stata il primo Paese a imporre ai gestori degli impianti di depurazione delle acque (IDA) l’obbligo, da applicarsi entro il 2026, di riciclare il fosforo. A Giubiasco si sta progettando un nuovo impianto di incenerimento destinato esclusivamente ai fanghi di depurazione, che raccoglierà separatamente le ceneri ricche di fosforo in modo da poter recuperare questa sostanza in un secondo momento attraverso un procedimento complesso.

Sottrarre il CO2 all’aria ambiente

Gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani (IIRU) della Svizzera emettono annualmente circa 4,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2). Nel 2017, nel termovalorizzatore di Hinwil (ZH) è entrato in funzione il primo impianto industriale al mondo in grado di separare il CO2 presente nell’atmosfera per mezzo della tecnologia DAC (Direct Air Capture) e di utilizzarlo. 

Il sistema sviluppato dalla start-up svizzera Climeworks può assorbire fino a 900 tonnellate di CO2 all’anno, corrispondenti alle emissioni di circa 450 autovetture. I ventilatori dei 18 collettori di CO2 aspirano l’aria ambiente. Dopo il processo di adsorbimento e desorbimento all’interno del collettore, l’aria privata del CO2 viene reimmessa nell’atmosfera. Per avviare il processo di desorbimento, il materiale filtrante viene riscaldato a 100 °C circa con l’ausilio del calore residuo dell’IIRU. Il CO2  altamente puro così liberato viene infine trasferito a una vicina azienda agricola che lo utilizza come acceleratore di crescita nella coltivazione di frutta e verdura.

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Ultima modifica 24.02.2021

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