Biologia di sintesi: «Riprodurre per meglio comprendere»

La biologia di sintesi cerca, a partire da componenti standardizzati, di riprodurre, modificare o creare sistemi biologici in laboratorio. Abbiamo intervistato la biologa Yolanda Schaerli e l’esperto di etica Gérald Hess per discutere il potenziale e i possibili rischi di questa disciplina di recente sviluppo

Intervista: Lucienne Rey

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La scienza incontra l’etica
Yolanda Schaerli è professore assistente all’Università di Losanna. Dopo aver studiato biochimica e biologia molecolare al PF di Zurigo, ha lavorato nell’ambito di soggiorni di ricerca pluriennali all’Università di Cambridge (GB), al Centre for Genomic Regulation di Barcellona e all’Università di Zurigo.
Dal 2003 al 2010 il filosofo Gérald Hess si è occupato di questioni etiche come collaboratore scientifico dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), in particolare nell’ambito della biotecnologia. Oggi è docente e ricercatore alla facoltà di geoscienze e di scienze ambientali dell’Università di Losanna, dove insegna etica e filosofia dell’ambiente.
© Flurin Bertschinger | Ex-Press | BAFU

A cosa sta lavorando attualmente, signora Schaerli?

Yolanda Schaerli: Il mio team si occupa delle reti di regolazione genica. Il nostro scopo è approfondire la loro evoluzione e i loro meccanismi. Lavoriamo con batteri di Escherichia coli applicando l’approccio della biologia di sintesi bottom-up (questo approccio è volto a creare sistemi biologici a partire da zero, n.d.r.). L’idea guida è che si riesce a comprendere meglio qualcosa che si è riusciti a ricostruire. La nostra ricerca si concentra sulle reti che generano modelli spaziali, come quelli che si trovano ad esempio sulle ali delle farfalle. Questi modelli sono importanti anche nello sviluppo degli embrioni.

Cosa dice l’esperto di etica quando sente che si riproduce qualcosa per comprenderlo meglio?

Gérald Hess: Innanzitutto dubito che la biologia di sintesi possa apportare novità fondamentali rispetto all’ingegneria genetica. I due approcci s’iscrivono nella tradizione di pensiero occidentale, secondo la quale la natura può essere modificata in modo da essere utile all’essere umano e ai suoi obiettivi. Questa concezione si è imposta solo con la scienza del XVII secolo. Nell’antichità greca la visione era diversa e il sapere era apprezzato in quanto tale. Oggi, anche la ricerca di base è praticata allo scopo di applicarla a precisi obiettivi pratici.

Schaerli: Il campo della biologia di sintesi è molto vasto. Alcuni team dichiarano chiaramente a quali applicazioni potranno servire le loro ricerche. Altri sono interessati solo ad aumentare le conoscenze. La biologia di sintesi arricchisce certamente l’ingegneria genetica di nuovi elementi. Ad esempio, dà molta importanza alla standardizzazione, alla modularità e all’astrazione. Inoltre, si occupa soprattutto delle reti e delle vie metaboliche e in misura minore dei singoli geni.

Hess: Comuni ai due approcci sono tuttavia la visione riduzionistica dell’organismo vivente e la strumentalizzazione dello stesso, che viene trasformato per adempiere determinati scopi.

Schaerli: Questa comunque non è una novità. Lo stesso si può dire ad esempio per i metodi convenzionali di selezione di piante e animali. Tutt’al più abbiamo reso i nostri interventi ancora più precisi.

Che cos’è per voi la «vita»? Cosa la caratterizza?

Schaerli: È una domanda difficile anche per i biologi. Vi sono alcune caratteristiche fondamentali, ad esempio il fatto che gli organismi viventi sono organizzati in cellule, dispongono di un metabolismo, crescono e si modificano. Inoltre, reagiscono agli stimoli e si riproducono. Tuttavia, alcuni casi limite come i virus non soddisfano tutti questi criteri.  

Hess: A livello filosofico distinguiamo due punti di vista. Il primo presuppone una serie di caratteristiche che assolvono determinate funzioni e prende in considerazione gli elementi esterni dell’organismo vivente, oggettivandolo e rendendolo manipolabile. Il secondo punto di vista si fonda invece su una concezione più globale: pur ammettendo una serie di caratteristiche esterne, parte dal presupposto che anche i ricercatori siano esseri viventi e possano comprendere la vita solo in quanto tali. Questa posizione afferma che la scienza non può oggettivare e spiegare tutto ciò che è vivente.

Se la biologia di sintesi riproduce organismi inediti, è in grado di controllarli e valutare le conseguenze dei propri esperimenti?

Schaerli: Non siamo ancora arrivati al punto di costruire effettivamente nuovi organismi. Tuttavia, siamo guidati dall’idea che, seguendo il principio dell’ingegneria, le manipolazioni possano diventare pianificabili anche nell’ambito della biologia. Quando costruiamo un ponte, i piani ci mostrano il risultato finale. Tuttavia, essendo la biologia una scienza molto complessa, fare previsioni è molto complicato. Ma è anche ciò che rende questo lavoro interessante e la ragione per cui ne sono affascinata.

Comprende che ci sono persone che temono il vostro lavoro, perché potreste creare qualcosa che diventa più grande di voi, come nell’apprendista stregone?

Schaerli: Sì, posso capirlo benissimo. Per questo motivo è importante spiegare cosa facciamo e quali misure di sicurezza adottiamo. Dobbiamo risvegliare l’interesse e la comprensione della società per la nostra ricerca, dal momento che la biologia di sintesi contribuisce in ultima analisi a migliorare applicazioni oggi molto diffuse, ma ne consente anche di nuove, ad esempio in materia di sintesi di prodotti chimici o nel campo della diagnosi e del trattamento di malattie.

Hess: Per valutare se una tecnologia rappresenta un miglioramento, è necessario innanzitutto considerare i suoi obiettivi. Alcuni sono del tutto lodevoli, in particolare quando organismi geneticamente modificati servono a produrre medicamenti.

Nuove tecnologie come il CRISPR/Cas e il gene drive permetterebbero ad esempio di eliminare intere popolazioni di zanzare vettori della malaria.  Dovremmo sfruttare questa possibilità?

Hess: Innanzitutto, anche in questo caso, l’obiettivo deve essere moralmente legittimo. Ciò è sicuramente vero quando si tratta di combattere una grave malattia. In seguito è necessario chiarire quali rischi vi siano per le persone e per l’ambiente e se tali rischi siano gestibili. Tuttavia, se una tale tecnica è impiegata in un ecosistema complesso, è praticamente impossibile valutarne gli effetti secondari.  Il principio di precauzione deve dunque avere la priorità. Tale principio impone che, prima di utilizzare qualsiasi nuova tecnologia, si tenti di determinarne le conseguenze ancora incerte, al fine di identificare e valutare al meglio i rischi.

Si discute anche in merito alla possibilità di utilizzare queste tecniche per immunizzare determinate popolazioni di animali contro una malattia che ne minaccia la sopravvivenza. Cosa ne pensate?

Schaerli: Ritengo che si debba essere molto prudenti quando si tratta di intervenire in questo modo in un ecosistema. A seconda delle circostanze, le modifiche introdotte potrebbero trasmettersi ad altre specie. In ogni caso è importante testare in modo specifico ogni applicazione e prendere in considerazione anche altre soluzioni.

Hess: Non si può decidere a priori se utilizzare una tecnologia o rinunciarvi. Naturalmente è opportuno chiarire i rischi e analizzarne gli scopi. Ma se una tecnica permette di salvare una specie minacciata garantendo l’assenza di altri rischi, vedo davvero poche ragioni per opporvisi.

In Svizzera, alcuni processi di produzione di organismi con caratteristiche nuove, ad esempio nell’ambito della selezione vegetale, sottostanno a regolamentazioni diverse. Se la valutazione etica dipende dall’obiettivo perseguito, non si dovrebbe piuttosto mettere l’accento sul prodotto finale, indipendentemente dal fatto che sia stato ottenuto ad esempio mediante radiazioni o ingegneria genetica?

Hess: In effetti sì, su questo punto vi è una certa incoerenza. Radiazioni e ingegneria genetica possono portare agli stessi risultati, ma le radiazioni sono ritenute più sicure. Ciò potrebbe tuttavia rivelarsi un errore. Qualsiasi tecnica dovrebbe essere utilizzata con prudenza. Il principio di precauzione esige che si proceda passo dopo passo: le nuove tecniche sono prima testate in laboratorio, poi in sistemi chiusi e infine in campi aperti protetti.

Schaerli: Concordo su questo punto. Tuttavia, è importante che sia permesso fare esperimenti simili. Altrimenti è impossibile acquisire le conoscenze necessarie.

La Costituzione federale parla di «dignità della creatura». Secondo voi anche i batteri hanno una dignità che può essere violata?

Schaerli: La dignità è un concetto umano e l’uomo dà maggiore importanza a ciò che gli è più vicino. Ci risulta più difficile uccidere un animale invece di una pianta. I batteri sono ancora più lontani. Personalmente, non mi sento in colpa quando conduco i miei esperimenti in laboratorio con i batteri. Mi è difficile applicare loro la nozione di dignità. Ciò non vuol dire naturalmente che possiamo utilizzarli senza riflettere.

Hess: All’articolo 120 della Costituzione, l’espressione «dignità della creatura» (in tedesco: «Würde der Kreatur») è stata tradotta in francese con «intégrité des organismes vivants». Questa espressione è più calzante per designare l’insieme degli esseri viventi rispetto al concetto di «dignità», in quanto conferisce un valore morale a tutti gli organismi viventi. Ciononostante, nessuna legge è stata adottata a favore dei batteri, in quanto il loro statuto morale è troppo debole. In generale, non esiste una posizione univoca sul piano etico: la valutazione morale differisce a seconda del criterio impiegato, vale a dire la facoltà dell’organismo di pensare, la sua capacità di provare dolore o semplicemente la sua vitalità. Con il concetto di «dignità della creatura» il legislatore ha voluto indicare la necessità di tenere conto di alcuni elementi della natura.

Nell’ambito della biologia di sintesi, desta inquietudine l’eventualità che biologi improvvisati (biohacker) possano allestire un laboratorio nel proprio garage, procurandosi i componenti biologici necessari su Internet. Come valutate i rischi di abuso?

Schaerli: Gli ostacoli sono tanti e una buona formazione è indispensabile. I laboratori di biohacking osservano generalmente un codice etico. E naturalmente devono rispettare le stesse regole di sicurezza valide per i laboratori delle scuole universitarie o delle aziende. I biohacker hanno anche un effetto molto positivo, in quanto informano le persone e condividono il proprio entusiasmo per la biologia. In particolare nell’ambito della biologia di sintesi, vige una vera e propria cultura della condivisione che consente ai colleghi di accedere ai risultati altrui.

L’etica ha obiezioni per quanto concerne la democratizzazione della scienza?

Hess: Assolutamente no. L’opinione pubblica deve essere al corrente degli sviluppi della tecnica. Ci vorrebbe una cornice nell’ambito della quale il pubblico possa essere informato indipendentemente dalla pressione economica. In questo contesto, la difficoltà risiede nel fatto che nella maggior parte dei casi una tecnica esiste già prima che si inizi a discuterne con la popolazione.

La biologia di sintesi: dalla manipolazione alla creazione

Considerata da alcuni dei suoi rappresentanti come il più recente sviluppo della biologia moderna, la biologia di sintesi si colloca all’intersezione tra biologia molecolare, chimica organica, ingegneria, nanobiotecnologia e le tecnologie dell’informazione. Il concetto di «synbio» riunisce vari approcci con un obiettivo comune: produrre nuovi organismi o componenti biologici. I livelli d’intervento e i metodi applicati sono tuttavia diversi tra loro.

Bioingegnieria

Analogamente a quanto accade in un computer, i componenti biologici isolati (elementi genetici standard) devono essere assemblati secondo una struttura gerarchica. Prima di cominciare il lavoro in laboratorio, i ricercatori mettono a punto al computer modelli dettagliati di meccanismi regolatori o vie metaboliche.

Genomica di sintesi

La genomica di sintesi mira a produrre artificialmente in laboratorio un intero genoma. Metodi di chimica e biologia molecolare consentono di concatenare gli elementi costitutivi del DNA (i nucleotidi) gli uni agli altri nella sequenza desiderata. Brevi segmenti di DNA, come ad esempio un singolo gene, sono già commercializzati. Nel 2010, il team di ricerca del biochimico americano Craig Venter è riuscito a produrre un batterio con un genoma completamente sintetico a partire da un modello naturale.

Xenobiologia

Questa disciplina ha come scopo lo sviluppo di organismi dotati di un sistema genetico diverso da quello presente in natura (in greco, xeno significa «estraneo, straniero»). Alcuni ricercatori cercano di sviluppare nuove forme di acidi nucleici (xeno nucleic acid, XNA) quali alternative all’RNA (acido ribonucleico) e al DNA (acido desossiribonucleico). Altri concentrano le proprie ricerche sugli acidi nucleici conosciuti nei sistemi naturali, ma cercano di riprodurre un nuovo codice genetico.

Protocellule

Con questo approccio si mira a ottenere cellule viventi a partire da molecole. Come fase preliminare, i ricercatori creano le cosiddette protocellule, delle vescicole circondate da una membrana lipidica, nelle quali si svolgono reazioni biochimiche isolate. Allo stato attuale, si è ancora lontani dal poter produrre cellule che si possano definire «viventi».

Fonte: naturwissenschaften.ch

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Ultima modifica 29.05.2019

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