Sviluppo tecnologico: i pionieri delle NET

Affinché il concetto di emissioni negative di CO2 possa funzionare, occorrono nuove tecnologie e nuovi modelli operativi. Le aziende svizzere sono in pirma linea in entrambi i settori.

Testo: Kaspar Meuli

Sul tetto dell’impianto di incenerimento dei rifiuti di Hinwil (ZH) si sta testando il futuro. Vi si possono vedere un’intera batteria di ventilatori e ascoltare un ronzio come quello di una cappa aspirante sovradimensionata. Gli apparecchi appartengono all’azienda Climeworks e dimostrano che le tecnologie a emissioni negative sono molto più di progetti pilota. L’impianto sotto il camino dell’impianto di incenerimento dei rifiuti è attivo dal 2017 e attualmente filtra dall’aria 1500 tonnellate di CO2 all’anno. Il gas viene pompato in grandi serbatoi e venduto come concime per le serre o per la produzione di acqua minerale.

Daniel Egger, Chief Commercial Officer di Climeworks, spiega in modo chiaro come funziona il filtraggio del CO2 dall’aria: «All’interno delle nostre macchine, che chiamiamo collettori di CO2, è collocato un filtro che attira il CO2. Per comprendere il meccanismo, immaginiamo che il CO2 sia un acido e il materiale del filtro una base. Quando questi due elementi si incontrano, instaurano tra loro un debole legame chimico. Noi utilizziamo questo meccanismo per catturare il CO2 dall’atmosfera». Quando il filtro è pieno, viene riscaldato con il calore che a Hinwil proviene dall’incenerimento dei rifiuti e il CO2 viene catturato in forma altamente pura e concentrata.

L’impianto dell’azienda Climeworks di Hinwil (ZH) filtra dall’aria 1500 tonnellate di CO2 all’anno.
© Miriam Künzli | Ex-Press

Uno spin-off all’avanguardia del PFZ

L’approccio di Climeworks è uno dei vari metodi NET noti con il termine «Direct Air Capture and Storage», in breve DACCS e si basa sui lavori di ricerca dei dottorandi Christoph Gebald e Jan Wurzbacher, che nel 2009 hanno fondato Climeworks e sviluppato i primi prototipi nei laboratori del Politecnico federale di Zurigo (PFZ). Nel frattempo l’azienda ha investito un capitale di rischio ampiamente superiore a 150 milioni di franchi e occupa 160 collaboratori. Non è ancora redditizia, ma continua a costruire e gestire un impianto dopo l’altro e al momento ne conta 15 sparsi in tutta Europa. Ma soprattutto ha diversificato le sua attività e partecipa tra l’altro alla produzione di carburante sintetico per aeromobili basato sul CO2. Inoltre, offre ai privati e alle aziende la possibilità di compensare le loro emissioni pagando per il CO2 filtrato da Climeworks. Questa offerta viene utilizzata tra l’altro da clienti come Microsoft e Swiss Re. A tale scopo il riassicuratore svizzero ha stipulato nel 2021 una contratto decennale per un valore di oltre dieci milioni di dollari.

Ma che ne è del CO2 che Climeworks emette con la costruzione e l’esercizio dei suoi impianti? «Abbiamo fatto eseguire da vari organismi indipendenti analisi del ciclo di vita», spiega Daniel Egger. Queste indagini sono giunte tutte alla conclusione che la nostra tecnologia è efficiente. Se i nostri impianti vengono alimentati con energia rinnovabile, causano meno del 10 per cento del CO2 che filtrano. L’obiettivo è ridurre ulteriormente questo valore e secondo le modellazioni si dovrebbe poter scendere a un valore del 4 per cento. Secondo Daniel Egger, tra i vantaggi ecologici vi è anche il fatto che il metodo «Direct Air Capture» consuma meno terreno e meno acqua di tutti gli altri metodi di filtraggio del CO2.

In Islanda, dove nel 2021 Climeworks ha messo in esercizio direttamente accanto a una centrale geotermica Orca, il suo impianto più grande finora costruito, il CO2 filtrato non viene riutilizzato, bensì sequestrato definitivamente. Questa operazione è gestita da un’azienda partner islandese di nome Carbix, che dal 2007 studia come stoccare il CO2 in modo stabile e permanente nel sottosuolo. Con il suo metodo il gas viene sciolto in acqua e iniettato nel basalto. A oltre 400 metri di profondità il liquido reagisce con le formazioni rocciose e viene mineralizzato in meno di due anni In altre parole, il CO2 rimane legato per sempre alla roccia mediante un processo naturale. Secondo l’azienda, in Islanda le condizioni geologiche per questo tipo di siti di stoccaggio sono particolarmente favorevoli, ma il metodo è applicabile con successo anche in molti altri luoghi del mondo. Non è però ancora chiaro se gli stoccaggi nel sottosuolo sono possibili anche in Svizzera.

Oltre all’impianto di Hinwil (ZH), l’azienda Climeworks gestisce altri 14 impianti in tutta l’Europa.
© Miriam Künzli | Ex-Press

L’IIRU di Linth intende filtrare il CO2 

Anche in Svizzera si sta valutando la possibilità di stoccare CO2 sotto il Mare del Nord. Ad esempio, il progetto «Northern Lights» del gruppo energetico statale norvegese Equinor è contemplato insieme ad altri siti di stoccaggio nei piani dell’IIRU di Linth. L’impianto di incenerimento dei rifiuti di Niederurnen (GL) intende filtrare il CO2 prima che esca dal camino e a tale scopo ha allestito insieme al PFZ e alcuni partner norvegesi uno studio nel quale vengono esaminati, tra l’altro, la fattibilità tecnica e i costi. Tuttavia non è ancora chiaro come trasportare il gas. In una prima fase è prevista una combinazione di ferrovia e nave. Il piano è ambizioso: ancora in questo decennio l’impianto di incenerimento dei rifiuti intende trasformarsi da uno dei più grandi emettitori di CO2 della regione nel primo IIRU della Svizzera con emissioni di gas serra negative. La decisione se l’impianto di filtraggio verrà realmente costruito sarà presa al più presto nel 2025.

Il calore necessario per riscaldare il CO2 nell’impianto di Hinwil proviene dall’incenerimento dei rifiuti.
© Miriam Künzli | Ex-Press

Carbone vegetale dal riciclaggio dei rifiuti

L’azienda Industrielle Werke Basel (IWB ) è un altro riciclatore di rifiuti che si occupa di NET, anche se è attivo principalmente nell’approvvigionamento idrico ed energetico. Di recente l’azienda ha messo in esercizio un impianto di pirolisi per la produzione di carbone vegetale biochar. In questo impianto viene carbonizzato in assenza di ossigeno legno finora inutilizzato proveniente dalla cura del territorio. Il calore prodotto alimenta la rete di riscaldamento locale e il carbone può essere utilizzato, fra l’altro, per migliorare il suolo nell’agricoltura. Il CO2 sequestrato nel carbone rimane nel terreno a lungo termine. «Sfruttiamo esclusivamente una materia prima inutilizzata e non trattata», sottolinea l’azienda IWB, «questo è importante se il carbone vegetale viene immesso nel suolo». Secondo i calcoli dell’azienda, la produzione di carbone vegetale dovrebbe sottrarre all’atmosfera oltre 1000 tonnellate di CO2 all’anno e fornire calore per circa 300 economie domestiche.

Calcestruzzo come serbatoio di CO2

Un altro tema importante nella cerchia dei pionieri delle NET in Svizzera è il calcestruzzo. E a ragione. Il cemento, un elemento fondamentale del calcestruzzo, è particolarmente nocivo per il clima. Basti pensare che causa fino alla metà delle emissioni di CO2 derivanti dalla costruzione di un edificio. E a livello mondiale l'industria del cemento emette circa il doppio del CO2 emesso dall’intero traffico aereo.

Per questo motivo suscita molto interesse la start-up bernese neustark. Dai primi esperimenti in laboratorio nel 2017 si è giunti oggi a una tecnologia pronta per il mercato, che consente di sequestrare il CO2 nel calcestruzzo. Con questo metodo il CO2 catturato dall’atmosfera viene legato in modo permanete in un granulato di calcestruzzo di demolizione. A tale scopo il calcestruzzo frantumato viene arricchito con il CO2 per una o due ore. Il CO2, che al momento proviene dall’IDA di Berna, dal quale viene emesso, reagisce con i residui di cemento e si pietrifica. Il granulato arricchito viene poi utilizzato al posto della ghiaia per la produzione di calcestruzzo pronto per l’uso. Ad esempio dall’azienda Kästli di Rubigen, nel Canton Berna.

Si lavora alla seconda generazione

Attualmente con questo metodo è possibile legare 10 chilogrammi di CO2 per metro cubo di calcestruzzo. Ciò consente di produrre calcestruzzo pronto per l’uso con un bilancio del CO2 migliorato del 10 per cento. Il calcestruzzo dell’azienda neustark non è quindi del tutto neutrale per il clima, ma la spin-off del PFZ lavora già a una seconda generazione della sua tecnologia, che consente di aumentare nettamente la capacità di stoccaggio del CO2 nel calcestruzzo di demolizione. In questo modo l’azienda intende raggiungere dal 2025 uno stoccaggio permanente di oltre 150 kg di CO2 per metro cubo di calcestruzzo.

L’aspetto particolarmente promettente di questo approccio e che non occorre rivoluzionare la produzione di calcestruzzo. Gli impianti flessibili possono essere post-equipaggiati in ogni calcestruzzificio. Inoltre, il calcestruzzo ha le stesse caratteristiche e sulla sua superficie non c’è traccia del CO2 sequestrato. Il calcestruzzo a vista resta calcestruzzo a vista. Questo nuovo calcestruzzo è già utilizzato nell’edilizia e l’azienda Kibag, uno dei maggiori produttori di materiale edile della Svizzera, offre fra l’altro un calcestruzzo prodotto secondo il sistema neustark. Anche se i costi sono ancora elevati, il metodo per la fabbricazione di un calcestruzzo più rispettoso del clima funziona e sono già disponibili i primi prodotti. Ciò che manca ancora è la domanda. Questo vale in generale anche per le NET: affinché possano affermarsi, ci vuole un mercato. Gli operatori svizzeri sono ben posizionati, ma devono prepararsi ad affrontare la concorrenza internazionale.

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Ultima modifica 01.06.2022

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